Il tavolino-scrivania di Edmondo De Amicis nella sua prima Casa-Studio a Torino, da dove ha inviato la sua prima lettera a Lidia Poet (particolare da una foto del 1885 forse del torinese Michele Schemboche)

Corrado Gavinelli

EDMONDO DE AMICIS ALLA “CARA SIGNORA LIDIA”

Lo speciale rapporto di stima e confidenza tra due importanti personalità italiane del Secondo Ottocento: il grande scrittore e romanziere ligure, e la prima moderna avvocatessa piemontese (e italiana, e forse europea), in alcune lettere deamicisiane, recentemente ritrovate

“Nelle lettere possiamo fare correzioni senza problemi, supplicare senza umiliarci, tagliare, e dare ad esperienze imbarazzanti la forma che desideriamo” (Elizabeth Hardwick, scrittrice e critica letteraria inglese, da ‘Notti Insonni’, 1979)

PREMESSA

Approfittando delle ultime polemiche insorte sul recente filmato televisivo riguardante la avvocatessa pinerolese Lidia Poet, che ha coinvolto le cronache giornalistiche e la critica culturale e perfino gli organi di comunicazione evangelici (perché il personaggio in questione era di fede valdese-protestante) a causa della erronea sceneggiatura, e per i contenuti a volte di dubbia interpretazione storica degli avvenimenti narrati, nonché per i non pochi fatti inventati o non realmente pertinenti alla figura ed alla personalità effettiva della protagonista della lunga (6 puntate) serie di trasmissioni, ho voluto anche io intervenire su questo argomento; ma non per infilarmi nella mischia delle dispute e delle contese, bensì per porgere una mia testimonianza particolare – di cui sono stato diretto attore e gestore – sullo speciale rapporto di amicizia (alquanto rispettoso e distaccato come era allora per i personaggi anche più progressisti dell’Ottocento) intrattenuto, e sviluppato perfino a lungo (almeno una quindicina di anni), tra il romanziere ligure Edmondo De Amicis e la giovane giurista pinerolese Lidia Poet: in quella forma di reciproco coinvolgimento intellettuale che proveniva loro dall’essere due personalità del proprio tempo consapevoli e determinate, rivolte ad una cultura aperta, innovativa, e di trasformazione della realtà retrograda e conservatrice: la donna, come persona – tra le prime – di proclamato attivismo propositore per il sostegno dei diritti civili, e legali, delle femmine (e non soltanto: perché si interessò anche ai problemi penitenziari e della assistenza della infanzia delinquenziale) nella società moderna allora in grande cambiamento; e l’uomo, quale letterato di intrinseca tendenza di avanzamento generale, perfino poi partecipante alle nuove ideologie dell’epoca, ed in particolare al socialismo, al cui partito italiano dopo si iscrisse e agì anche politicamente (per quanto brevissimamente) quale candidato parlamentare per la Italia Unita in evoluzione.

Ma non solamente per queste motivazioni di intenti riformatori, e magari – a loro modo – rivoluzionari; bensì anche per il riferimento alla località di Pinerolo (e suoi dintorni) che i due personaggi si ritrovarono a reciprocamente frequentare, e rappresentare (Lidia abitandovi, ed Edmondo trascorrendovi le vacanze estive), ed in particolare addirittura nei più banali aspetti della vita quotidiana. Magari in quella totale normalità contenutistica, e senza eroismi esaltanti, che appartiene ad ogni individuo di questo mondo nella sua esistenza personale e privata più comune.

E di cui lo specifico tramite di contatto tra loro è stata una corrispondenza epistolare – della quale tuttavia si conosce solamente la parte scritta inviata dal De Amicis alla Poet,  mancando invece le risposte della donna finora non ritrovate (ma se ne potrebbe ricercare l’esistenza in una ispezione più attenta dell’archivio epistolare deamicisiano) – che io occasionalmente (e, anzi, fortuitamente) ho rinvenute nel 2006, durante una mia ricerca sugli itinerari di Edmondo riguardanti le città ed i paesi (nonché i monumenti architettonici ed i luoghi più significativi) nel Pinerolese (cui ero allora interessato perché nel 2002 ho deciso con mia moglie di abbandonare la asfittica città di Milano e ritirarmi nella vicina località, più salubre, di Torre Pellice) riportati nel suo libro Alle Porte d’Italia,  pubblicato nel 1884 a Roma dalla casa editrice Sommaruga [Figura 1-3 e 4-8].

1 e 2-3La copertina della prima edizione del libro di Edmondo De Amicis Alle Porte d’Italia, pubblicata a Roma dall’editore Sommaruga nel 1884. La figura rappresenta il corteo di accoglienza tributato dai Pinerolesi nel 1575 al loro Duca sabaudo Emanuele Filiberto detto Testa di Ferro [sopra], nella elaborazione grafica del famoso illustratore ottocentesco Enrico Mazzanti, ingegnere e disegnatore italiano di Firenze, che è stato tra l’altro il primo raffiguratore di Pinocchio del Carlo Collodi per la edizione iniziale del 1883 (coeva al libro deamicisiano).  La scena del corteo ducale è stata similmente riportata anche dal più famoso illustratore del De Amicis, il napolitano Gennaro Amato, all’interno del romanzo storico dei luoghi alpini che Edmondo ri-pubblicò nel 1892 per le edizioni Treves di Milano, nel capitolo sulla visita del sovrano savoiardo a Pinerolo [sotto, e in basso]. Le fotografie sono di Corrado Gavinelli e del 2023 (e da ora in poi le immagini da me fotografate verranno siglate con la cifra fCG seguìta dall’anno di ripresa)

 

  FIGURA 4

fIGURE 4-6 e 7-8Il frontespizio della prima edizione sommarughese di Alle Porte d’Italia [sopra], e due illustrazioni – sempre dell’Amato – riguardanti gli scorci di Pinerolo (il Campanile e la Chiesa di San Maurizio, e la sottostante torre campanaria della Chiesa di San Domenico) e di Torre Pellice (il cosiddetto Quartiere Valdese, con gli edifici istitutivi della comunità protestante-riformata: Tempio, in fondo, e Sala del Sinodo) [sotto e in basso]. Tutto fCG 2023. E’ molto probabile che la illustrazione sanmauriziana dell’Amato sia stata da lui ripresa dalla nota veduta di Piazza Fontana scattata dal fotografo pinerolese Pietro Santini, effettuata nel 1865 [più sotto], mentre lo scorcio rivolto al tempio valdese torrepellicino è stato elaborato dal vero, nella inquadratura come ancòra adesso si può riscontrare (anche nelle immancabili variazioni epocali) al 2023 (fCG) [in fondo]: con la sola differenza che nel disegno amatoino manca ancòra la sala sinodale (originariamente Casa Valdese, che costituisce l’edificio di annuale riunione del Sinodo Valdista, l’organismo interno di decisione amministrativa della Comunità Valdese) edificata nel 1888-89 su progetto del 1887 del locale geometra Epaminonda Ayassot: ciò che fa ritenere come la data dall’elaborato grafiche non è del 1892 della pubblicazione del libro, bensì risale almeno all’1886-87. Per la cronaca, il Tempio è stato eretto nel 1850-52, su progetto del capomastro (ed impresario costruttore biellese, di Netro, allora abitante a Luserna) Eugenio Gastaldi insieme al generale in pensione britannico (e benefattore dei Valdesi) Charles Beckwith (con il disegno di facciata ripreso però da una proposta del 1849 lasciata dall’architetto inglese Ignatius Bonomi di Durham)

TRATTAZIONE

Quanto mi accingo a scrivere su questo argomento di riferimento alla Poet, è uno sviluppo più meditato su ciò che già ho prodotto per l’epistolario deamicisiano mandato alla avvocatessa dallo scrittore ligure, ma ne è alquanto diverso perché ne analizza i contenuti specifici, e poichè si allarga ad altri aspetti conseguenti che si trovano nelle lettere. Ed in più, il suo contenuto si riferisce anche alla verifica di situazioni particolari riguardanti i due protagonisti, soprattutto nella configurazione iconografica delle loro persone (e personalità), provenute dalle immagini note (poche ma sufficienti quelle di Lidia, e di maggiore abbondanza nel caso di Edmondo), osservate con la mia ormai solita metodologia disciplinare della Iconologia, tramite cui ho approfittato anche di ricomporre qualche lacuna e certi eccessivi errori di attestazione e interpretazione (perfino eclatanti) che purtroppo non mancano mai nella laconica èra delle tele-comunicazioni espanse, in cui tutto viene riportato come una accatastazione di informazioni acriticamente accettate senza doveroso controllo effettivo (e note ormai con il termine diffuso di  false notizie).

Le Lettere del De Amicis alla Poet

Queste missive, da Edmondo mandate a Lidia, non sono molte (soltanto 3), e tuttavia abbastanza sufficienti per riconoscere (e testimoniare) il significativo rapporto intercorso tra i due intellettuali, di cui si sapeva genericamente ma per il quale non esistevano attestazioni dirette documentate (e questo mio ritrovamento dunque si rivela in questo senso essenziale per tale condizione conoscitiva).

E siccome la intrinseca argomentazione contenuta nelle lettere era assolutamente sconosciuta, ed inedita, per darne un debito annuncio pubblico e renderne partecipe non soltanto gli esperti ma anche le persone altrimenti interessate ai fatti di cultura del loro territorio, le ho pubblicate sùbito, l’anno dopo  (nel 2007) della loro scoperta, sul Bollettino della Società Storica Pinerolese (Numero XXIV); riproponendole poi, più succintamente e divulgativamente, in un altro articolo sul locale periodico quindicinale ‘Vita Diocesana Pinerolese’ (Numero 7), molto letto nella sua zona di pertinenza territoriale [Figure 9-11 e 12].

 

Figure 9-11 e 12 Le pubblicazioni (rispettivamente sul ‘Bollettino della Società Storica Pinerolese’, Numero XXIV del 2007 [sopra, sotto, e in basso], e sul quindicinale ‘Vita Diocesana Pinerolese’ del 2011, Numero 7 del 15 Giugno [più sotto]), riguardanti la mia scoperta, e i contenuti, delle lettere di De Amicis mandate alla Poet (tutto fCG 2023, ma 2011 l’ultima immagine)

Il riferimento cronologico delle epistole deamicisiane copre quasi un quindicennio, dal 1884 al 1897: un periodo che procede dalla data di pubblicazione del suo libro citato Alle Porte d’Italia (che è stato sostanzialmente scritto a Pinerolo tra il 1882 ed il 1883-84) all’anno (1896) di adesione del romanziere al Partito Socialista Italiano: una fase di tempo inframmezzata dal fatidico 1892, che segnò per Edmondo il primo avvicinamento dichiarato al socialismo turatiano, scelta politica da lui definita decisione “istintiva” per un suo già espresso sentimento di soliderietà (e difesa) verso le classi più deboli e bisognose (particolarmente con la pubblicazione del libro Cuore, nel 1886).

Una cruciale durata cronologica che, nelle vicende della Poet, corrisponde alla iniziale carriera della giovane avvocatessa (laureata in giurisprudenza nel 1881, e nominata Procuratrice Legale nel 1883: gli stessi anni in cui per altro ella frequentò il De Amicis nei luoghi culturali pinerolesi di allora, incentrati, come ho scritto nel 2011, “particolarmente sul Circolo del Teatro Sociale ed i salotti letterari ad esso collegati” ai quali “anche la giovane giurista partecipava”) e che procede fino alla nomina della donna pinerolese (nel 1895), da parte del governo francese, ad Ufficiale della Accademia di Francia per i propri meriti in difesa dei diritti pubblici e civili internazionali; a sua volta interposta con la sua piena attività di conferenziera giuridico-legale (rimarcata nel 1890 con l’incarico di delegata italiana al Quarto Congresso Penitenziario tenutosi a San Pietroburgo in Russia).

Un itinerario glorioso, per la Avvocatessa di Pinerolo (di cui riferirò ancòra con maggiore dettagliatura più avanti): del quale però non va tralasciato il più importante episodio, di incredibile pesantezza giurisprudenziale, avvenuto tra 1883 e 1884 sempre, ed anche esso di procedura legislativa, che coinvolse la giovane Lidia per il riconoscimento del proprio diritto, acquisito con la laurea e la nomina a Procuratore, ad esercitare la pubblica professione della avvocatura, che però le fu drasticamente negato (come anche per questa vicenda esporrò dopo nei particolari).

Un fatto increscioso accaduto proprio a lei, che ebbe il fatidico destino di essere la prima giurista d’Italia (ed alcuni dicono anche di Europa) ma cui toccò anche la sorte di vedersi istituzionalmente non concesse, per decenni, possibilità e legittimità di “indossare […] la toga, perché era una donna” (una proibizione che persistette fino al 1920, alla sua età di 65 anni, quando finalmente ella venne ufficialmente ammessa all’Ordine degli Avvocati, diventando così la prima donna moderna di Italia autorizzata all’esercizio della avvocatura).

Contenuti tematici e contesto sociale delle Lettere

Venendo adesso alla sostanza verbale, e letteraria, della corrispondenza epistolare con la Poet, il De Amicis tratta in essa di diverse faccende contingenti, soprattutto di ordinaria attività quotidiana, che possono apparire perfino banali; ma in cui lo scrittore rivela anche alcuni aspetti particolari della propria vita di lavoro, e conseguenti risvolti della sua salute (evidenziando anche certe declinazioni del proprio carattere individuale).

Tra cui soprattutto emerge la fondamentale – e curiosa per un letterato della sua eccelsa fama che non si penserebbe intento a tali incombenze spicciole – richiesta (rivolta nel 1892) di volere “passare l’estate […] a Pinerolo, o meglio nei dintorni, o anche su nella valle del Chisone”, specificata con particolari precisi (“purché fosse vicinissimo a un villaggio alimentare”, ovvero in un paese non sperduto e con la possibilità pratica di procurarsi senza difficoltà le cibarie indispensabili; ed in una località tuttavia lontana dalla confusione cittadina: “quanto più possibile in alto”, in “una villa o casa o spelonca qualsiasi, in cui ci potessimo rifugiare”) per le cui necessità residenziali vengono  indicate perfino le condizioni di spaziale capienza abitativa (“una casa modestissima, che […] desse da fare il meno possibile; cinque letti basterebbero, e otto camere, compresa una cucina, nella quale non mancasse tutto”) [Figura 13].

Figura 13 – La lettera deamicisiana alla Poet del 1892, scritta ad Aprile, indicante la richiesta di Edmondo per una casa da affittare nei dintorni di Pinerolo allo scopo di trascorrere le vacanze estive con la propria famiglia (fCG 2006)

In quelle affermazioni, soltanto in apparenza di piatto scialbore di ogni giorno, è invece rinvenibile una importante situazione alquanto discussa dalla critica deamicisiana, sul fatto di una eventuale definitiva permanenza abitativa dello scrittore a Pinerolo: perché ne risulta incontrovertibile la volontà del romanziere di continuare quella vecchia residenzialità pinerolese – risalente al decennio precedente, 1882-84, del proprio periodo trascorso nella cittadina piemontese per praticamente documentarsi e scrivere ‘Alle Porte d’Italia’ – non in maniera conclusiva (come infatti poi avvenne), ma di stare “a Pinerolo, dove ci richiamano tante belle e care memorie” soltanto temporaneamente: e dunque non per rimanervi stabilmente come è stato sostenuto da diversi storici pinerolesi (particolarmente da Arnaldo Pittavino).

Altro interessante aspetto della corrispondenza epistolare tra De Amicis e la Poet si ritrova poi nella missiva del 1897 (scritta  l’anno prima del suicidio del primogenito deamicisiano Furio, e della separazione definitiva dalla moglie Teresa Boassi dopo un tormentato matrimonio costellato di litigi continui e incomprensioni penose, che rivela la triste situazione dello scrittore, allora soltanto 51enne ma sentitamente spossato per la propria vita coniugale e famigliare sostanzialmente fallita), in cui Edmondo riferisce della propria condizione di uomo oberato dagli impegni editoriali (“Da circa cinque mesi lavoro quasi senza interruzione e mi trovo ridotto a un tale stato di stanchezza che appena riesco a correggere le prove di stampa che ho ammucchiate sul tavolino”) sicuramente provato anche dalla ormai persistente sua crisi domestico-famigliare [Figura 14]. Per il quale motivo (o scusa) il romanziere finisce – in una maniera piuttosto drastica – di dare alla sua corrispondente un rifiuto alla richiesta della amica avvocatessa che gli chiedeva qualcosa di cui Edmondo dichiara che “non la posso contentare”.

Figura 14 – La missiva deamicisiana del Giugno del 1897, con la dichiarazione della spossatezza mentale del De Amicis dovuta al troppo lavoro da sbrigare (fCG 2006; immagine tratta dal succitato mio saggio sul Bollettibo torico di Pinerolo (si vedano le Figure 9-11)

Quale fosse l’oggetto di quella domanda della donna è alquanto difficile appurare, non essendoci pervenuta la lettera di risposta  in questione inviata dalla Poet al De Amicis: ma è possibile congetturare che forse possa trattarsi di una revisione, o correzione letteraria, di un testo della giurista tra quelli delle sue conferenze ai Congressi Penitenziari mondiali; e nello specifico la Relazione (“Rapporto”) per il Sesto Convegno da tenersi a Bruxelles nell’imminente 1900, per il quale Lidia trattava delle modalità di “assicurare una educazione razionale per i giovani delinquenti, come per i bambini traviati o soltanto abbandonati“ [Figura 15].

Figura 15 – La prima pagina del probabile testo della Poet (Rapporto al Sesto Congresso penitenziario di Bruxelles del 1900) che ella chiedeva ad Edmondo di revisionare e correggere (fCG 2023]

E dunque invece (differentemente dalle altre prosaiche affermazioni vacanziero-domestiche considerate prima, o dai serissimi argomenti di diritto legale) è interessante considerare – ancòra nella lettera del 1884 – quell’appena accennato riferimento al cosiddetto “gentilissimo dono del ricorso” sottopostogli dalla Poet, che egli riconosce trattarsi della “prima scrittura legale ch’io ho letto con piacere”: e che altro non è se non la bozza di esposto di reclamo della avvocatessa poi mandata – il 13 Novembre del 1883 – alla Corte di Cassazione di Torino per opporsi alla ingiusta sentenza di escludere le donne dalla professione di avvocato. E che il De Amicis, non credo per eccessiva gentilezza o deferenza verso la giovane giurista, ma con sincero commento critico, ha giudicato eccellentemente scritta (“La prego di accettare le mie più vive congratulazioni, che spero di poterle ripetere a voce fra non molto”) [Figura 16].

Figura 16 – La lettera del Marzo 1884 con i complimenti e le frasi confidenziali del De Amicis a Lidia [fCG 2006]

Zelanti considerazioni normali che Edmondo ha riservato però con  maggiore esternazione per altri complimenti da gentiluomo e persona galante rivolti alla giovane conoscente: blandamente e con cortesia (“La prego di tener sempre fra i suoi più devoti e affettuosi ammiratori”) ma poi sempre di più con – per la sua epoca piuttosto morigerata – espressa evidenza (“Veda un po’ che particolari prosaici sono costretto a scrivere io che le scriverei tanto volentieri dei versi !”: nella lettera del 1892), sebbene con enfasi cautelativamente contenuta, a scanso di una possibilmente fraintesa fraseologia troppo spinta che avrebbe potuto incorrere nella esagerata gelosia della moglie Teresa (che sempre nella medesima missiva si ritrova direttamente enunciata: “A lei, cara amica, mandiamo tutti i più affettuosi saluti; mia moglie, più fortunata, le manda coi saluti un bacio e un abbraccio”) [Figura 17 (e 13)].

Figura 17 – Dettaglio della parte finale della lettera del 1892 (si veda la Figura 13), con i galanti saluti di Edmondo alla Poet (fCG 2006)

Le sconosciute case in affitto nel Pinerolese, e la invece nota residenza a Pinerolo

Ritornando al problema delle probabili case da affittare chieste dal De Amicis alla Poet, come ho all’inizio riferito le lettere in questione sono innanzitutto soltanto di Edmondo, mandate a Lidia per specifiche informazioni concernenti la possibilità che la “signora” (e “signorina” anche, come a volte differentemente lo scrittore chiamava la sua interlocutrice) potesse procurargli, abitando in zona, le residenze che periodicamente occorrevano alla famiglia deamicisiana per contenere cinque persone in tutto (lui ed i sui famigliari – moglie e due figli – nonché una loro domestica che li aiutava) ma di otto vani (comprendenti anche una cucina, un soggiorno, ed uno studio per lo scrittore) da prendere in zona con lo scopo esplicito di trascorrere le loro vacanze nel Pinerolese.

Ma purtroppo, come già ho riferito, non conosciamo le risposte della Poet, che non sono documentariamente (finora) pervenute, e quindi non riusciamo ad appurare con precisione, o anche genericamente, l’aspetto esteriore, e le specifiche condizioni interne, delle abitazioni dal romanziere utilizzate nei suoi trascorsi vacanzieri a Pinerolo e dintorni.

Possiamo soltanto ricavare, dalle parole del De Amicis, che egli dovette sottostare alla condizione di risiedere in varie case del Pinerolese (e però non si sanno quali), e che la persona che gliele procurò fu senz’altro la Poet. Ma nulla di più.

Tuttavia, per non lasciare niente di intentato nella mia smania di cercare qualche possibile soluzione alle questioni irrisolte, ne ho azzardato, con le scarse descrizioni ricevute da quanto scritto dal nostro Edmondo, la vaga eventualità di ricostruire uno schema planimetrico possibile degli ambienti richiesti (e la corrispondente loro facciata principale), riproponendone anche qualche paragone con tipologie edilizie storiche (di localistico riferimento occitano) nei dintorni di Pinerolo. Ovviamente di pura congettura, e tuttavia di suggestivo riferimento iconografico [Figure 18-20/21, e 22-34].

 

18-20 e 21 – Corrado Gavinelli, Schema Ricostruttivo della Casa-Tipo descritta nel 1892 dal De Amicis alla Poet per la residenza estiva della famiglia dello scrittore, nelle Planimetrie del Piano Terreno e del Primo Piano [sopra e sotto] nonché del Prospetto Anteriore [in basso]. Il modello formale della planimetria è composto sui criteri edilizi piemontesi a carattere industrial-urbano di fine-Ottocento (ed inizio del Novecento), con la scala interna distribuente ai differenti vani, non potendosi congetturare altri prototipi ottocenteschi di tale composizione. Per i quali rimando invece, ad ulteriori configurazioni tipologiche: indicativamente, andando alla illustrazione dell’Amato (sempre del 1891) raffigurante il casolare pastoral-contadino che sorgeva accanto alla Villa La Graziosa (si vedano le Figure 38-40, e 41-50) osservato dallo scrittore dalla sua stanza, nelle soste dal lavoro, in “ore di silenzio e di solitudine” allorchè il suo “spettacolo preferito è una casetta rustica, lì accanto” (fCG 2023) [più sotto]; ed altrimenti più ipoteticamente, rappportandomi invece, in maniera esemplificante, ai reali caseggiati di zona (riprodotti nelle immagini successive: Figure da 22 a 34)

 

  FIGURA 22

fIGURE 22-34 – Alcuni esempi di caseggiati tradizionali nelle valli pinerolesi di corrispondenza con le richieste di abitazioni estive fatte dal De Amicis alla Poet (tutto il materiale informativo e foto-iconografico è preso dal lavoro dell’ingegnere Luigi De Matteis, esperto ricercatore di cultura alpina, riguardante le Case contadine nelle Valli Occitane in Italia, pubblicato a Ivrea dalla casa editrice Priuli & Verlucca nel 1983): le cui  localizzazioni, per le tipologie considerate sono indicate  nella Cartina delle valli occitane (e segnate in mappa sui numeri rispettivi: fCG 2023) [sopra]. Per la cronaca, l’Occitania era la regione collegante i versanti francese e italiano tra Briançon e Pinerolo (nella cartografia la vasta area colorata in giallo), zona in antico geograficamente e culturalmente unitaria, comprendente anche le vallate piemontesi riferite alla zona montuosa del Pinerolese

fIGURA 23 [sotto] – Il tipico aspetto esteriore di un vecchio cascinale montano della tradizione occitano-piemontese, risalente al Settecento, composto da stalle al piano terreno, fienile e abitazione al primo piano, nella Casa Perlà della Borgata Peirela a Bobbio Pellice (trasformata in Scuola nel 1822) (fCG 2023)

FIGURA 24 [sopra]– Una residenza montanaro-agraria con la capienza di vani abitativi quale è stata descritta dal De Amicis: nella tipologia della Casa Brunet, a Laux nel comune di Usseaux (Alta Val Chisone: in mappa al Numero 4 Val Chisone) costruita nel 1660 [sopra]. La composizione planimetrico-distributiva possibile dei vari ambienti è ripartita (al piano terreno, e nelle corrispondenti sezioni) in un atrio di ingresso coperto (al centro), cucina (a destra), e una camera da letto (a sinistra) per i due figli; che al piano superiore si propone in un atrio di smistamento e magazzino (al centro) accedente alla stanza-studio per il romanziere (a destra), e con una grande camera da letto matrimoniale nell’ampio sotto-tetto (a sinistra) con ingresso indipendente da fuori; nonché con una ulteriore camera per la domestica nella soffitta (fCG 2023)

  FIGURA 25

FIGURE 25 e 26 – Altra possibile sistemazione, nella Casa Casa Bonjour nel territorio di Bobbio Pellice, nella Alta Valle del torrente pellicese (in mappa al Numero 6 Val Pellice), edificata nel 1829-31 [sopra]: con impianto planimetrico comprendente (al piano terreno) un ingresso carraio accedente ad un ampio cortile (al centro) con forno da pane e fontana-vasca per rifornimento di acqua ed addossato abbeveratoio (sotto), vano lungo (a sinistra) per magazzino (originariamente usato per tinaggio, ovvero cantina vinaria, e adesso impiegabile per magazzinaggio casalingo e stanza della domestica); ed al piano superiore – cui si va, dall’esterno del cortile, tramite una scala in pietra e collegato ballatoio – conducente alle due contigue camere per i figli (a sinistra) e con entrata diretta dalla scalinata (a destra),  la cucina con camino centrale, a sua volta di diretta comunicazione con lo studiolo deamicisiano. L’aspetto esteriore complessivo di questo edificio si ritrova nella foto di prospetto del caseggiato, ripresa dall’ingresso carraio [sotto]. Tutto fCG 2023)

FIGURE 27-29 [SOPRA  e DOPO]– Altra diversa tipologia edilizia caratteristica della tradizione alpina della Occitania, con i requisiti abitativi voluti dal De Amicis: nella cosiddetta Dimora del Frassineto (Casa Garnero), in borgata Radice del Comune di Frassino nella Media Valle Varaita (nella mappa al numero 14 Val Varaita), eseguita nel 1871: disposta su tre livelli in altezza (da sinistra a destra nelle planimetrie) [sopra], al piano terreno si entra in un cortile aperto, con – sùbito dopo l’ingresso – un piccolo vano (a destra) di deposito (eventualmente adattato a gabinetto con turca) e quindi una camera ampia per i figli (a sinistra); e nel primo piano, cui si arriva con una scala laterale, lo spazio è composto da una grande cucina con forno incassato a muro [sotto], e successivo vano di deposito contenente anche la camera per la domestica; e dunque, un ultimo livello con stanza matrimoniale e attiguo studio per lo scrittore. Il tutto nella conformazione esteriore visibile nella foto della facciata principale (corrispondente alle precedenti planimetrie) [in basso]. Tutto fCG 2023

FIGURE 30-31 [SOTTO]– Ulteriore caseggiato occitano per i requisiti di villeggiatura adatti al De Amicis (ma con la particolarità tipologica di non avere sempre comunicazioni interne, e dunque accessi indipendenti, secondo la vecchia tradizione delle cascine di bassa montagna e di castagneto): la Casa Sassia a Brossasco nella Bassa Valle Varaita, di data sconosciuta, ma del secondo Ottocento (in mappa al numero 16 Val Varaita) [sopra]. Al piano terreno (planimetria a destra, e partendo da sinistra) un locale di magazzino-deposito senza finestre, e due camere, per i figli e la domestica; quindi, dal cortile con scaletta esterna conducente al piano superiore, un altro vano di deposito (o gabinetto a turca) addossato all’ampio portico; ed al primo livello (planimetria a sinistra) la scaletta esterna con suo ballatoio, andante (frontalmente) alla cucina con camino angolare, e (lateralmente) alla camera matrimoniale con unico collegamento diretto allo studiolo deamicisiano. Anche per questa tipologia, il suo aspetto fisico generale è riscontrabile nella corrispondente fotografia frontale [sotto]. Tutto fCG 2023

 

FIGURE 32-34 [SOTTO]– Una, conclusiva, tipologia montano-contadina della Occitania di corrispondente composizione deamicisiana, la Casa De Michelis nella borgata Bargia della Alta Valle Varaita (nella mappa al numero 18 Val Maira), probabilmente del 1858-59 (essendo, l’affresco dipinto sul muro laterale del fronte del caseggiato, opera del 1860 del locale pittore itinerante Giuseppe Gauteri [sopra]). L’impianto dell’edificio, impostato su tre livelli addossati ad un costone roccioso che consente ingressi diversi alle quote corrispondenti (nella planimetria, dal basso verso l’alto) [sotto], al piano terreno lo spazio è composto da un portico (al centro) immettente in un ripostiglio (o cesso: a sinistra), e da uno stanzone disponibile (a destra) con ingresso in un vano per guardaroba sul fondo; al primo piano invece, si accede (a destra, in alto: disegnato a tratteggio) alla casa,  con ingresso proveniente da un laterale sentiero sul costone: che entra in uno stretto corridoio, dal quale si passa (sulla sua sinistra) alla cucina, alquanto esigua, comunicante con l’annesso soggiorno (in basso); e quindi una camera da letto, addossata alla quale (a sinistra) si trova una ulteriore stanza (per la domestica), indipendente e con ingresso esterno; e dunque, al secondo piano, rimangono altri due vani contigui, ai quali si perviene da un ponte sospeso di collegamento (in alto), per raggiungere la camera matrimoniale (sopra) unita allo studio dello scrittore (sotto). La cui complessiva fisionomia edilizia è mostrata anche questa nella foto corrispondente [in basso]. Tutto fCG 2023

FIGURA 32

Comunque, in mancanza di certificazioni sicure, potremmo almeno anche avanzare la ipotesi (o magari fantasticheria, non avendo certificanti attestazioni documentarie) che nella carenza di altri luoghi per lui comodi – quali il romanziere richiedeva – la sua amica avvocatessa possa avergli messo a disposizione proprio il grande suo caseggiato a Traverse di Perrero, nella Valle Germanasca, dove la famiglia della Poet abitava [Figure 35 e 36 (e 37)].

fIGURE 35 e 36, e 37 – Due immagini del casolare montano della Famiglia Poet, in una foto di David Peyrot (Casa della famiglia Poët a Traverse, Perrero, senza data, ma del 1894: foto dell’Archivio Fotografico della Società di Studi Valdesi a Torre Pellice) [sopra], e in una coeva istantanea (Traverse: casa dell’avvocato Lidia Poët, con sua madre sulla galleria – 1894, ripresa dall’archivio del Patrimonio Culturale Valdese e Metodista di Roma) di autore non indicato (ma forse anche essa peyrottiana) [sotto]. In entrambe le raffigurazioni si può riscontrare la grande consistenza volumetrico-spaziale del caseggiato poetesco, capiente a sufficienza anche per ospitare la famiglia del De Amicis. E’ interessante inoltre notare come le immagini risalgano proprio al periodo di richiesta deamicisiana di alloggi, ma riscontrare  anche che le due figure riprese alla base del casolare (la giovane donna di profilo, ed il  signore che le sta accanto) non  possono assolutamente essere la nostra Lidia (che al 1894 era di età quarantenne) e neppure suo padre (Giovanni Pietro, che fu Sindaco del proprio paese, ma morì nel 1872). E neppure è probabile che, dall’aspetto fisico della giovane ragazza in costume, questa sia una delle tre sorelle della Poet, perché tutte erano più vecchie della avvocatessa [in basso] (tutto fCG 2023). Per queste persone comunque la Bounous nel 2022 ha ritenuto che si tratti del “figlio del fratello Federico con la fidanzata”

  FIGURA 37

 

Infine, a proposito però di queste case di residenza del De Amicis, rimaste finora sconosciute, è comunque noto che Edmondo abitò, nel periodo di stesura – tra 1882 e 1883-84, ripeto – del suo romanzo Alle Porte d’Italia, nella città di Pinerolo, e nella Villa chiamata La Graziosa (allora della Famiglia Accusani, e prima dimora dei D’Aquilant, e poi dei Maffei, e ultimamente dei Rolfo) tuttora esistente [Figure 38-39 e 40] e costruita sul sito delle antiche fortificazioni seicentesche di occupazione francese, nella parte occidentale …

Figure 38-40 – La Villa La Graziosa a Pinerolo, residenza inizialmente della Famiglia D’Aquilant, e poi degli Accusani all’epoca del De Amicis, e quindi dei Maffei, e successivamente dei Rolfo: in una immagine recente (di autore anonimo della rubrica telematica SeeTorino, del 2016) [sopra], nel dettaglio della sua lapide commemorativa sistemata dagli ultimi proprietari (foto come sopra) [sotto], ed in una foto d’epoca primo-novecentesca (ripresa dal mio articolo sul quindicinale pinerolese ‘Vita’ del 2011, N° 7: si veda la Figura 12; fCG 2023) [in basso]

  FIGURA 40

 

… (sul ciglio del baluardo – Bastione Malicy – rivolto alla vallata del torrente Lemina, e proprio sulla vecchia Caserma Svizzera, parzialmente riutilizzata, presso la vecchia Fonderia dei Cannoni); difese fatte abbondantemente demolire dall’esercito francese di occupazione pinerolese su ordine sabaudo-piemontese dopo la sconfitta del sovrano di Francia, Luigi XIV il Re Sole, inflitta alla fine del Seicento – nel 1697 – da una coalizione alleata di Stati europei, comprendente Inghilterra, Olanda, Spagna, Svezia, e Germania, nonché il Ducato di Savoia di Vittorio Amedeo II) [Figure 41-42 e 43, 44-45, 46-47, 48-49, e 50, nonché 51-53, e 54-55 (e 56-58)].

 

FIGURE 41-42 e 43 – La posizione della ottocentesca Villa Accusani, abitata da De Amicis, nel vecchio tessuto urbanistico pinerolese del Seicento [sopra e sotto] e del primo Ottocento [in basso] (fCG 2023): nella Pianta Antica della Città di Pinerololo ridisegnata nel 1795 dal geometra pinerolese Michele Boeri “Colle già esistenti fortificazioni e Cittadella” (distrutte tra la fine del Seicento e la prima metà del Settecento) nella “Copia conforme” del 1870 eseguita dal tecnico municipale pinerolese Alessandro Camussi [sopra]. Il sito topografico del vecchio bastione Malicy è segnato con un quadratino blu, ma l’edificio accusanese è stato riedificato sopra la vicina Caserma Svizzera indicata con E presso la poi totalmente demolita Fonderia dei Cannoni riportata in D) [sotto]. Nella mappatura boeriana è visibile la barriera difensiva angolare (a punta di freccia) della cosiddetta Controguardia (alla Lettera C) collocata più in basso e sulla pianura, ritrovabile anche nello stralcio di mappa del Piano Regolatore di Pinerolo del 1848 [in basso] a settentrione del bastione malicyano (quadratino rosso) dopo lo spianamento completato delle difese di Castello medioevale e Cittadella seicentesca, su cui è rimasto l’edificio deamicisiano (il luogo segnato in blu) riadattato dai resti della caserma suddetta (tutto fCG 2023)

FIGURA 42 [sopra] e FIGURA 43 [sotto]

 

44-50 [SOTTO]– Gli sviluppi costruttivi della Villa ‘La Graziosa’ al Bastione Malicy (tutto fCG 2023)

44-45 – La situazione del sito nel 1772, tra le macerie delle demolizioni delle fortificazioni francesi, in un dettaglio [sopra] della grandiosa “Carta dimostrativa della Città di Pinerolo, e siti che erano affetti dalla vecchia distrutta fortificazione, e Forte [… ] non meno che le diverse fabbriche e costruzioni a Sua Maestà spettanti”, disegnata dall’architetto e “misuratore” piemontese Giovanni Battista Salvay [sotto] (la mappa è stata rivolta nel senso del suo precedente particolare). Nella Figura 44 (sopra) chiaramente si scorge la situazione dei caseggiati rimasti  ed in particolare la persistenza della Caserma Svizzera (al Numero 26) e della vicina, sottostante, Fonderia di Cannoni (al 27), attestante la non ancòra avvenuta costruzione della Villa D’Aquilant (poi Accusani-Maffei). Entrambe fCG2023

46-47 – Il particolare [sotto] della planimetria della città di Pinerolo nel 1840 di topografo ignoto [in basso] in cui si vedono i primi cambiamenti sul sito deamicisiano, sopra i quali resta soltanto la Caserma (acquistata dai D’Aquilant). Entrambe fCG 2023

  FIGURA 46

48-49 [SOTTO]– Dettaglio della già costruita Villa D’Aquilant [sotto] nel Piano Regolare Generale della Città di Pinerolo elaborato “nel 1854” dagli  ingegneri Candido Borella ed Ernesto Camusso [in basso], rinvenibile nella sua sagomatura composita, e non più rettilinea come indicava la preesitente (si vedano le Figure 46 e 47) stecca lunga della caserma vecchia, in parte recuperata nella nuova edificazione, tra la persistente Controguardia (a sinistra) e la Chiesa di San Maurizio (a destra). Entrambe Fcg 2023

50 [SOTTO]– Particolare della posizione odierna della Villa Mattei-Rolfo [sopra] nella “Cartografia Aggiornata di Pinerolo” al 2023 composta dalla Agenzia Geoplan di Conegliano: l’edificio La Graziosa nella cartografia è collocato tra lo spazio delle parole Viale e Gabotto, mentre più dietro è accennata (anche se in realtà questo edificio si trova non sull’angolo del lotto ma rivolto più al centro del filo interno della odierna Via Ortensia di Grugliasco) la costruzione neogotica del cosiddetto Finto Castello, dal cui balcone il De Amicis osservava il paesaggio valligiano e le Alpi sullo sfondo (si vedano le Figure 59-65)

  FIGURA 50

Dal terrazzo e giardino di quel caseggiato di eclettico stile medievalista schematizzato, o meglio ancòra dal balconcino del falso castello neo-medievale con merlature finte eretto sul ciglio della scarpata delle mura rimanenti del bastione malicyano, a strapiombo sulla pianura sottostante, Edmondo poteva comodamente ammirare il meraviglioso panorama descritto nel suo libro con intenso entusiasmo, che si estendeva oltre le località di Abbadia Alpina e di San Pietro in Lemina: “Un paesaggio vasto, vario, fresco, che sale, trasformandosi gradatamente, dal sorriso verde dei campi e dei giardini, alla maestà bianca e celeste delle più alte montagne d’Italia” [Figure 59-60 e 61-62, e 63-66].

FIGURE 51-52 e 53 [SOPRA e DOPO] – La situazione seicentesca delle difese pinerolesi all’epoca del Re di Francia Luigi XIV (il Re Sole) da cui è stata ripresa la ricostruzione boeriana alla Figura 41 (si tratta della topografia a colori Pignerol disegnata dal grafico e incisore olandese Harmanus Van Loon e stampata dal geografo francese Nicolas De Fer nel 1695: ribaltata sotto-sopra per farla coincidere con l’orientamento della Figura del Boeri, riportata alla Figura 41) [sopra]. La sua esecuzione risale però ad una precedente incisione in bianco-nero del 1693 (e non del 1691 come altrimenti viene a volte riferito) [sotto], a sua volta aggiornante la più vecchia rappresentazione di Pinerolo che mostra la città assediata e conquistata dalle truppe francesi del Cardinale Richelieu (il quale nel 1631 la annesse alla Francia), dipinta nel 1641-42 sulle pareti interne del Castello richeliano (nella località di Richelieu di cui il prelato era Signore) da uno dei suoi pittori preferiti, Nicolas Prévost (L’Assedio di Pinerolo nel 1630, che ha segnato la resa della città: il pallino bianco indica la posizione della Villa Accusani-Maffei) [in basso]. Tutto fCG 2023

 

54 e 55 [SOTTO]– Altra raffigurazione prospettica, dal basso (e non in veduta aerea come nella Figura 53) della seicentesca Pinerolo, eseguita probabilmente (la questione dataria di questa immagine è ancòra altamente incerta e controversa) nel 1649 dall’incisore francese Nicolas (e non Noel, che era suo fratello) Cochin (fCG 2023) riprendendo un disegno di Sébastien Pontault Signore di Beaulieu (ingegnere militare e maresciallo di campo francese durante i regni dei sovrani Luigi XIII e XIV: geografo e rilevatore, e come tale considerato l’inventore della topografia militare per la sistematica ricognizione, da lui direttamente eseguita sul terreno ed affidata da rielaborare ad altri artisti per averne una visione estetica migliore, dei piani di battaglie, assedi, e imprese belliche) [sopra]. Si tratta di una immagine ampiamente utilizzata in sèguito, da illustratori e stampatori, e pertanto variamente datata a seconda delle pubblicazioni (di cui un tipico esemplare di replica si ritrova nella identica stampa usata dall’editore svizzero-tedesco Matthias Merian – che era anche incisore, e conseguentemente a lui erroneamente attribuita – nel 1650 per una edizione del suo Theatrum Europaeum (il cui primo volume è uscito nel 1633, senza però quella immagine, e si è perpetuato figuralmente identico fino al 1720) [sotto]. Entrambe fCG 2023

56-58 [SOTTO e dopo] – La moderna (otto-novecentesca) versione della Veduta di Pinerolo (di fotografo anonimo e senza data) mostrante la catena delle Alpi Cozie oltre le colline pinerolesi [sotto], confrontata con altre simili immagini d’epoca (entrambe senza autore e prive di datazione: Panorama di Pinerolo ora quartier generale di S. M. il Re alla grandi manovre del Piemonte; e dunque Panorama di Pinerolo) risalenti al 1893 [ in basso e più sotto]. Tutto fCG 2023

FIGURE 59 [SOTTO]– Il Bastione Malicy a Pinerolo con il Falso Castello medievale costruito nella seconda metà dell’Ottocento nel giardino della Villa La Graziosa esposto verso il rimanente spalto difensivo seicentesco, in una illustrazione del disegnatore Amato del 1892, inserita nella pagina iniziale dell’ultimo capitolo di Alle Porte d’Italia (fCG 2023)

FIGURA 59

FIGURA 60, e 61-62 [SOPRA, e SOTTO] – Particolare della immagine precedente con il balconcino descritto dal De Amicis [sotto]. Da cui lo scrittore guardava il panorama sottostante della vallata giungente fino alle Alpi (come lo si vedeva alla fine dell’Ottcento, nel particolare della cartolina del 1893 riportata dalla Figura 56) [in basso]. E nel cui vasto cielo lo scrittore fantasticava di vedeva scorrere, accumulandosi sulle grandi nuvole, le più significative figure dei suoi gloriosi racconti del libro Alle Porte d’Italia che stava scrivendo, come ha interpretato sempre l’Amato in una sua coeva illustrazione ugualmente del 1892 . Tutto fCG 2023

 

FIGURE 63-64 e 65-66 [SOTTO  e DOPO]– La situazione attuale del Falso Castello neo-gotico nella sua posizione sul baluardo di Malicy [sopra e sotto], e con la odierna veduta panoramica dal balcone esposto sulla valle [in basso e più sotto]. Tutto fCG 2023

FIGURA 66 [sopra]

Al cui cospetto egli dichiarò che proprio “Fu quella bellezza che mi fece scrivere” su Pinerolo, e soprattutto conservare di quei momenti un indelebile ricordo e consenso: di grande generosità descrittiva, mettendo addirittura questa cittadina prima, per importanza, della più maestosa Torino (“Vista dall’alto, posta com’è all’imboccatura di due bellissime valli, ai piedi delle Alpi Cozie, davanti a una pianura vastissima, seminata di centinaia di villaggi, che paiono isole bianche in un mare verde e immobile, è la città più bella del Piemonte”) [Figure 67 e 68].

FIGURE 67 e 68 – Una altra veduta della città pinerolese all’epoca tarda del De Amicis (Panorama di Pinerolo del fotografo locale Umberto Monti del 1905, ripresa a tre anni prima della morte dello scrittore) rivolto alla pianura verso Torino, nella immediata località di Riva di Pinerolo (la zona sottostante al Bastione Malicy) [sopra], a confronto con una tipica immagine recente (di Vincenzo Parisi del 2014) [sotto]. Enrambe fCG 2023. Nell’attuale panorama pinerolese si può notare che, oltre allo svettante campanile di San Maurizio che dal Settecento costituisce l’elemento urbano prominente della città, sostituitosi all’abbattuo mastio del Castello, una altra elevazione verticale emerge nel profilo urbano: si tratta del compatto grattacielo secondo-novecentesco, opera dell’ingegnere torinese Aldo Casassa realizzata nel 1955-59 su progetto del 1954

Un tributo comunque di profonda riconoscenza (come si legge nella Dedica al suo libro Alle Porte d’Italia: “Alla Città di Pinerolo – in segno di affetto e di reverenza – offro queste pagine – ispirate dalla bellezza dei suoi monti – e dalla nobiltà delle sue memorie”) per quel luogo urbano che lo gratificò della cittadinanza onoraria (conferitagli immediatamente dal Comune nel 1884, sùbito dopo l’uscita del libro) proprio per le parole profferite dallo scrittore relativamente al territorio pinerolese [Figure 69, e 70-72].

FIGURE 69, e 70-72 – L’atto ufficiale di riconoscenza dei Pinerolesi verso il loro più affezionato narratore della storia romanzata cittadina: l’attestato di Diploma di Cittadinanza onoraria del 1884 [sopra] ed il Monumento alla sua persona, fatto erigere dal Comune di Pinerolo (in una immagine storica del 1915, Pinerolo – Giardini Pubblici – Monumento a Edmondo De Amicis, di autore anonimo [sotto], nonchè nella situazione attuale: fCG 2023) [in basso e più sotto]. L’opera statuaria, ordinata sùbito dopo la morte del romanziere (1908) dal Municipio pinerolese, è stata affidata allo scultore torinese Pietro Canonica, che l’ha elaborata nel 1909 (anno, questo ultimo, anche della sua inaugurazione)

APPENDICE

Per più compiutamente concludere questa narrazione epistolare riguardante il De Amicis e la Poet, sebbene di loro ne ho ampiamente parlato e scritto, occorre ancòra soffermarsi su alcune vicende particolari riferite alle rispettive personalità dei due personaggi, di cui non ho mai trattato; soprattutto evidenziate nella loro identificazione iconografica delle fotografie esistenti: piuttosto scarsa e labile, perchè non sempre chiaramente dichiarata nelle età e nelle date, ma anche per qualche altra notizia incerta e in qualche caso perfino erronea, continuamente pubblicata e mai giustamente corretta, da risistemare adeguatamente.

Lidia

Della Poet ormai sono apparsi diversi libri, e anche disparate biografie succinte, tra cui vorrei citare quella sintetica riportata, nel sito telematico della Società di Studi Valdesi alla voce riguardante la avvocatessa pinerolese per il Dizionario Biografico dei Protestanti Valdesi trattata da Luca Pilone; con la sola raccomandazione, se possibile, di completarla giustamente nella bibliografia riguardante la figura della giurista piemontese, inserendo anche i miei mancanti articoli sull’epistolario deamicisiano mandato alla giurista pinerolese, che sono in pratica l’unica – e importante – documentazione concreta del rapporto letterario della avvocatessa Lidia con il De Amicis nella situazione tipica della loro vita a Pinerolo.

A cui invece ha dato una corretta attenzione – e per questo devo ringraziarne la anonima autrice (che forse è Vivian Vega) – un succinto articolo del 12 Settembre 2020 apparso sul telematico Editoriale Mauxa, riportato con puntuali parole: “Non si conosce molto della vita privata di Lidia Poët, trasferitasi all’età di 13 anni a Pinerolo. Lo storico e docente universitario di Storia di Architettura Contemporanea, Corrado Gavinelli, trova, nel 2007, tre lettere di Edmondo De Amicis, celebre scrittore legato a Torino e Pinerolo, indirizzate a lei. Lettere pubblicate nel Bollettino della Società Storica Pinerolese. Si evince una corrispondenza epistolare, di cui tuttavia mancano le lettere di Lidia, nel segno di un’amicizia tra due intellettuali di spessore”.

Il cognome occitano Poet

Una ulteriore specificazione concernente la nostra avvocatessa pinerolese, riguarda la specifica enunciazione del suo cognome (con conseguente pronuncia), che nell’Ottocento si scriveva Poët (con la dieresi sulla ‘e’) [Figura 73], e per una giusta dizione occitano-francese allora si pronunciava Poé; divenendo poi, nel Novecento fascista …

FIGURA 73 – La trascrizione originaria del cognome Poet (con la dieresi sulla ‘e’ per la sua giusta dizione e pronuncia alla francese, la lingua che ancòra allora si usava nelle valli occitane del Piemonte oltre all’italiano, ed ai dialetti locali) nel registro della Regia Università di Torino (Facoltà di “Giurisprudenza”) all’Elenco delle Signore inscritte ai corsi accademici di questo Regio Ateneo durante l’anno scolastico 1878-79 (fCG 2023)

… e con la forzata italianizzazione anagrafica, la attuale denominazione di Poet, pronunciata pertanto italianamente come tanti altri nomi vallivo-valdesi analoghi – Pontet, Girardet, o Peyrot e Ayassot – di precedente derivazione e parlata francese, afona della ‘t’ finale).

Allieva del Lombroso?

E infine, a proposito della vita privata e dei contatti culturali della Poet con il mondo della scienza di allora, una curiosissima notizia nuova a tale proposito è stata trasmessa rcentissimamente da Lorenzo Barberis, esperto di “letteratura e fumetto”, nel suo notiziario telematico LoSpazioBianco del 19 Febbraio 2023 (ma già fatta circolare due anni prima dai fumetti dei disegnatori italiani Aldo Gennari e Francesco De Stena), comunicando la inimmaginabile informazione secondo la quale “Lidia Poet […] laureata a Torino, anche se in Legge e non Medicina legale”, aveva “comunque frequentato Medicina a Torino, sotto Lombroso”, il famoso, al suo tempo (perché poi ampiamente contestato  a causa dei suoi troppo drastici metodi positivistici), criminologo-antropologo veneto [Figura 74-75 e 76-78].

  FIGURA 74

FIGURE 74 E 75 – La raffigurazione emblematica del medico e studioso veronese Cesare Lombroso, considerato (nonostante le polemiche sollevate sui suoi discutibili metodi scientifici) il fondatore della analisi criminologica moderna (sperimentale e statistica), nella rappresentazione fumettistica del grafico italiano Aldo Gennari (Lombroso nel suo Studio) del 2021 [sopra] e nella foto (Cesare Lombroso, di autore anonimo e senza data, ma della fine dell’Ottocento) che ha fatto da modello al disegno precedente [sotto]

 

FIGURE 76-77, e 78 – Tre immagini del presunto rapporto scolastico tra la Poet e il Lombroso, eseguite dal disegnatore italiano di fumetti Francesco De Stena, interprete grafico della serie narrativo-figurativa di recente uscita per le edizioni Bonelli di Milano: il criminologo nella sua abitazione con (a destra) la propria assistente, e (a sinistra) la possibile allieva Lidia Poet (A Cuore aperto, autopsia di un racconto, 2021) [sopra]; della quale ultima si può rilevare la somiglianza fisionomica [sotto] con la raffigurazione della avvocatessa disegnata nel 1883 (si vedano le Figure 107 e 108); ed a cui si rapporta, per contrasto, la idealizzata figura femminile della giovane aiutante lombrosiana Silvia Bottini (in una illustrazione, sempre de-stenana ma del 2023) [in basso], che era – per incredibile coincidenza storico-romanzata – la sorella maggiore del ragazzo Enrico descritto nel libro Cuore del De Amicis (tutto fCG 2023)

    FIGURE 77 E 78    

Ma per verità di cronaca, sempre un paio di anni prima – tuttavia senza presentare attestazioni documentarie probanti – nel 2021 questa notizia è stata raccontata da Marzia Coronati (“redattrice radiofonica e audiodocumentarista italiana”) nella sua rubrica ‘Spiriti Liberi’ trasmessa su Radio 3 della RAI, riguardante le vite di personaggi vari d’Italia, vere o fantasticate: “1880. Università di Torino. Una studentessa affronta il professore di medicina legale, chiede di essere esonerata dal seguire le lezioni, studierà sui libri. Per lei è diventato troppo penoso e faticoso affrontare ogni giorno nugoli di studenti che la squadrano da testa a piedi, la deridono, la disturbano con frivoli bigliettini. Il professore rifiuterà seccamente la richiesta: se ha deciso di intraprendere questo percorso, lo dovrà portare avanti fino in fondo, a testa alta. La studentessa si chiama Lidia Pöet, il professore Cesare Lombroso”.

Non viene esplicitato da nessuno se poi la avvocatessa abbia proseguito quegli studi, ma – con tutto il rispetto verso la battagliera giurista piemontese futura – appare abbastanza peregrino il fatto che ella (strenua e convinta difenditrice di legalità e giustizia) abbia voluto pretendere, per un corso di medicina nel quale è importante la presenza fisica per la pratica empirica e ospedaliera, di venire esonerata dalle lezioni e studiare soltanto sui testi stampati!

Ad ogni modo, se queste affermazioni, in buona parte da verificare, risultassero vere, sulla figura di Lidia si aprirebbe un nuovo aspetto nei contatti culturali della avvocatessa pinerolese, da ulteriormente considerare e sviluppare.

Il Ricorso del 1883  

Ritornando alle lettere del De Amicis, come ho già accennato, in quella del 1884 il romanziere scrive del famoso “ricorso, il quale è la prima scrittura legale” che egli ha “letto con piacere”.

Con ciò intendendo come quell’atto burocratico lo ritenesse bene elaborato e degno di un componimento quasi letterario, e non soltanto istitutivamente tecnico-burocratico.

E in realtà quell’esposto, elaborato – ed inviato alla Corte di  Cassazione di Torino – nel “Dicembre 1883” [Figura 79] per opporsi alla sentenza della Corte d’Appello che il precedente “13 Novembre” di quell’anno aveva esclusa la Poet dalla professione pubblica di avvocato con l’inaccettabile pretesto di essere una donna [Figura 80], costituiva una …

FIGURA 79 [SOPRA] – La copertina del famoso Ricorso, scritto nel “Dicembre 1883” dalla “Signorina Lidia Poet” a difesa della sua professionalità di avvocato “Laureata in Leggi”, inviato alla Corte di Cassazione di Torino in opposizione alla “Sentenza” a lei contraria della Corte di Appello emessa un mese prima, in un volumetto realizzato a Torino dalla Stamperia della Unione Tipografico-Editoriale (fCG 2023)

 

FIGURA 80 [SOTTO]– La incredibile sentenza, ma del tutto normale per la sua epoca, sulla accettazione della Poet alla “iscrizione all’albo degli avvocati” ed alla conseguente professione, conclusa con lapidarie ed inconcepibili parole: “Le donne non possono essere ammesse all’esercizio dell’avvocatura” (fCG 2023)

… interessante, ed incalzante, arringa a sostegno dei diritti delle femmine a professare il proprio mestiere istitutivo che la appena laureata avvocatessa (1881) [Figure 81 e 82], nonché riconosciuta Procuratrice Legale (1883), adduceva a favore delle proprie legittime attribuzioni giuridiche impropriamente negate dopo la raggiunta (e ricevuta) avvocatura.

81 e 82 – L’attestato di “Diploma di Laurea” di “Dottore in Giurisprudenza” conferito alla allieva “Lidia Poët”, rilasciato (“il 30 Giugno 1881”) dal Rettore della Facoltà di Torino a sèguito della conclusione (il “17 Giugno 1881”) degli studi universitari della ragazza pinerolese [sopra]; ed il relativo fascicolo a stampa della Tesi di Laurea della studentessa sulla Condizione della Donna “rispetto al Diritto Costituzionale, ed al Diritto Amministrativo”, pubblicato nel 1881 stesso dalla importante tipografia pinerolese Chiantore & Mascarelli [sotto] (entrambe fCG 2023)

Una discriminazione tecnica, oltrechè civilmente disumana, insostenibile; e tuttavia ignominiosamente perpetrata, e iniquamente sostenuta dalle autorità forensi torinesi con una definitiva sentenza penalizzante, del 18 Aprile del 1884 (che oltre al diniego definitivo dell’esercizio professionale, includeva il pagamento delle spese processuali!) [Figura 83 e 84-85].

FIGURE 83-85 [SOPRA e SOTTO] – La ulteriore, e definitiva, decisione di rifiuto del ricorso poetesco: sancita dalla Corte di Cassazione nella “Udienza 18 Aprile 1884” e confermante che “la donna non può esercitare l’avvocatura” [sopra]; decisione convalidata nelle pagine del registro delle sentenze forensi (con i nomi della Commissione giudicante [sotto], e la conseguente “condanna” alle “spese” giudiziarie [in basso]) [tutto FCG 2023]

  FIGURA 85

Finalmente riconosciuta

Questa paradossale situazione, che parrebbe appartenere ad una sola arretratezza politico-sociale e culturale italiana, non deve stupire di molto: poiché anche in altre nazioni di libertà e progresso vigevano leggi anti-femministe analoghe (che nel caso forense ebbero la sola eccezione degli Stati Uniti, con la avvocatessa Arabella Mansfield ammessa all’esercizio delle proprie funzioni giuridiche nel 1869): e – tanto per riportare un solo esempio di questa generale contrarietà verso le donne per certe concessioni civili – il diritto di voto alle donne nel Regno Unito è stato riconosciuto, quale suffragio per tutti i cittadini di ogni sesso, soltanto nel 1928 (perché prima, e per altro dal 1918, quella  spettanza di diritto era limitata soltanto alle mogli dei capifamiglia con età sopra i 30 anni!) [Figura 86].

FIGURA 86 – Copertina del periodico inglese ‘The Suffragette’ del 1913, evocante la Settimana del Suffragio tramite un riferimento al mese di Marzo (March, in inglese: termine rimandato anche alla Marcia per i diritti civili, March on, nella cui pronuncia britannica viene richiamato l’incitamento rivoltoso francese – Marchons – della Marsigliese settecentesca) (fCG 2023)

E per quanto poi concerne il riconoscimento alla professione (e previa iscrizione all’Albo degli Avvocati) per la Poet bisogna attendere fino al 1919, allorchè una legge italiana di quell’anno (proposta in Parlamento dal giurista avvocato Ettore Sacchi, deputato radicale-storico e Ministro di Grazia e Giustizia dal 1916 al 1919) concede – finalmente – alle donne di “esercitare tutte le professioni” (e però “ad esclusione” di quelle cheimplicano poteri pubblici giurisdizionali”, ovvero il ruolo di magistrato, “o l’esercizio di diritti e di potestà politiche o che attengono alla difesa militare dello Stato”) [Figura 87-88].

FIGURE 87 e 88 [SOPRA e SOTTO]– La testata della Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia (“Anno 1919 […] Numero 172”) [sopra] e lo stralcio della seconda pagina [sotto] con la abrogazione del “diritto del marito di opposizione” ad ogni funzione  pubblica muliebre senza sua autorizzazione; e l’Articolo 7 istituente la norma secondo cui “Le donne sono ammesse, a pari titolo degli uomini ad esercitare tutte le professioni ed a coprire tutti gli impieghi pubblici”

  FIGURA 88

E fu così che con tale atto legislativo Lidia ottenne la propria iscrizione all’Albo degli Avvocati, esercitando la sua piena professionalità dall’anno dopo, con totale (sebbene tantissimo rimandata: di ben 36 anni!) soddisfazione per i propri dovuti diritti legali istituzionalmente acquisiti, ma mai concessi prima [Figura 89].

  FIGURA 89

FIGURA 89 – Corrado Gavinelli, La Toga Concessa!, 2023. Parafrasi traslata (ripresa dalla immagine La toga negata pubblicata dalla Bounous nel 2022) del tipico paludamento avvocatizio (riconosciuto indossabile dalla Poet con la Legge Sacchi del 1919), nel capo di abbigliamento originale appartenente al repertorio personale degli oggetti della giurista pinerolese conservati dai suoi discendenti

Tuttavia, per la cronaca, per tutte le femmine italiane gli impedimenti ai pubblici uffici non sono stati facilmente superati, nella loro globalità: e sempre nell’àmbito dell’accesso alle donne alla professione forense, per la piena sua concessione si è dovuto attendere fino al 1963, quando un altro decreto statale   (la Legge 66), titolato “Ammissione della donna ai pubblici uffici ed alle professioni“, ha tolto ogni impedimento all’esercizio di attività giurisdizionali da parte delle cittadine italiane; disponendo che inequivocabilmente “la donna può accedere a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, compresa la Magistratura, nei vari ruoli, carriere e categorie, senza limitazione di mansioni e di svolgimento”.

Ma per le altre attività invece, il percorso di parità femminile continuò a rivelarsi più restrittivo e discriminante nei confronti delle donne: e nel settore educativo – per riportare una terna soltanto di esempi significativi – il Regio Decreto del 1923 della Riforma Gentile sulla Scuola a proposito del nuovo “Ordinamento dell’istruzione media e dei convitti nazionali”, la normativa “proibisce alle donne la direzione delle scuole medie e secondarie”; e nel successivo provvedimento del 1926 riguardante il “Regolamento per i concorsi a cattedra nei Regi Istituti Medi d’istruzione e per le abilitazioni all’esercizio professionale dell’insegnamento medio”, viene deliberato un ulteriore ostacolante divieto, che addirittura “Proibisce alle donne l’insegnamento della filosofia, della storia e dell’economia nelle scuole secondarie” (sanzione ancòra più aggravata, l’anno dopo 1927, da un provvedimento per gli stipendi: tramite cui “furono dimezzati per decreto i salari femminili”).

La prima avvocatessa d’Italia (e d’Europa, e – per alcuni –  forse del Mondo!)

Si è detto, ripetuto, e proclamato, da molti autori e cronisti, che la Poet è stata la prima avvocatessa d’Italia, e perfino d’Europa.

Ma questo primato tuttavia non le è proprio effettivo: perché se lo si può riconoscerle per la epoca moderna, altrimenti non è possibile sostenerlo in assoluto; in quanto in precedenza, ad esempio, nel Settecento è esistita una Maria Pellegrina Amoretti (cittadina di Oneglia: la stessa località natale – si guardi il caso della sorte storico-culturale! – del De Amicis) [Figure 90 e 91-92] ad essersi laureata in Italia in “Ragion Civile” (nel 1777) [Figura 93], e ad avere di conseguenza professato – per quanto brevemente – fino al 1787 a causa della sua sopraggiunta morte.

FIGURA 90 [SOPRA]– Il Ritratto di Maria Pellegrina Amoretti di autore ignoto e senza data, paludata nelle vesti auliche della laurea (1777) e coronata di alloro (fCG 2023)  

FIGURE 91-92 – Il profilo del volto della Avvocatessa di Oneglia (Maria Pellegrina Amoretti Onegliana [sopra], a 32 anni “Acclamata” quale “Dottoressa” in Legge “nell’anno 1777”, come appare scritto nella immagine di frontespizio del libro della sua Tesi di laurea [sotto], nella incisione dell’artista milanese Domenico Aspari su disegno del pittore vogherese Paolo Borroni (tutto fCG 2023)

FIGURA 93 [SOPRA]– Nel “Cattalogo delli Singoli Laureati nella Regia Università di Pavia in Sacra Teologia, in Legge, ed in Medicina, e delli Singoli Licenziati in Legge, ed in Chirurgia”, alla pagina a sinistra dei “Laureati in Legge”, si ritrova, a metà del foglio, il nome della Amoretti di Oneglia (fCG 2023)

Ed alla personalità spiccata di questa intelligente giovane giurista appena laureata, il noto poeta illuminista lombardo Giuseppe Parini, abate e precedentemente sacerdote precettore della nobile famiglia Serbelloni a Milano – impegnato autore moralistico (tra 1763 e 1785) del poemetto satirico Il Giorno scritto contro la decadente vita della aristocrazia della propria epoca – le ha dedicato (sempre nell’anno stesso del diploma di studi della donna-avvocatessa) la sua ode ‘La Laurea’, ad omaggio speciale per la insolita condizione di riferirsi ad un avvocato femmina.

Ma ancòra prima, nel Cinquecento, si è a conoscenza di una altra avvocatura femminile, professata a Trani in Puglia da una donna altolocata, Giustina De Rocca (figlia di Orazio, Oratore al Senato di Napoli, e moglie – e vedova – di Giovanni Antonio Palagano, capitano regio della città): la cui fama forense proviene, come ha riferito il giurista anche esso tranese Cesare Lambertini – Arciprete e poi Vicario della cattedrale San Nicola Pellegrino, e quindi eletto Vescovo di Isola in Calabria – nel suo Tractatus De Iure Patronatus (volume sulla argomentazione “del diritto di patronato” finito nel 1523 ma stampato per la prima volta a Venezia dieci anni dopo) riportando l’episodio di “una delibera arbitrale” di allora (“Nei nostri tempi vedemmo la magnifica signora Giustina de’ Rocca, da Trani, […], l’8 aprile dell’anno 1500, pronunciare sentenza arbitrale. Si era nel palazzo del Tribunale del magnifico signor governatore di Trani, Lodovico Cantarini, governatore veneziano. Nel Palazzo dell’Università accorse quasi tutto il popolo per vedere il miracolo di donna sedere al banco del tribunale e proferire, in lingua volgare, la sentenza”) per una questione ereditaria sollevata da alcuni nipoti della stessa avvocatessa.

Di lei non possediamo alcuna immagine ritratta o riportata, e la sola testimonianza materiale della Rocca pervenuta, è una iscrizione funeraria, in latino, che la donna-giurista ha elaborato, per la lapide commemorativa, tuttora appesa ad una parete del Lapidario del Museo Diocesano di Trani, dedicata alla giovane figlia Cornelia, morta nel 1492, allorchè “la sua età non aveva ancora visto i vent’anni” [Figura 94].

FIGURA 94 – La stele commemorativa mel Museo Lapidario a Trani il cui testo è stato scritto dalla giurista tranese Giustina De Rocca nel 1492 in memoria della precoce morte della diciannovenne figlia Cornelia (fCG 2023)

Ma in realtà, neppure questa donna detiene il primato di avvocato-femmina in assoluto, perché ancòra precedentemente a lei, e più lontano nei secoli storici, si deve risalire addirittura all’antico impero romano, ed in particolare alla oratrice Ortensia, figlia di un altrettanto oratore, Quinto Ortensio Ortalo (rivale del grande Marco Tullio Cicerone) che aveva sostenuto, nel 42 avanti Cristo, la difesa di 1400 donne abbienti di Roma, costrette dai Triumviri di allora – Ottaviano, Antonio, e Lepido – a partecipare alle spese belliche della Guerra Civile, ottenendo soltanto una parziale – ma significativa – vittoria (ovvero l’assegnazione del tributo a sole 400 di quelle matrone).

Un importante successo tuttavia, soprattutto perché perorato da una donna; ma che, a causa del sistema gerarchico dell’epoca, per cui le femmine non ricoprivano ranghi pubblici ed erano perfino alla penultima – prima degli schiavi – posizione nella scala sociale, ha costituito unicamente un particolarissimo, ed eccezionale episodio: effimero (durato un giorno) e potenzialmente però pericoloso da mantenere in futuro (potendosi eventualmente espandere ed istituzionalizzare). Motivo per cui, immediatamente (e qui ritorna il problema del diniego professionale alle femmine, come per la Poet e altre sue colleghe) i viri romani ne impedirono la ripetizione: vietando per legge alle donne di esercitare professioni istitutive maschili, e soprattutto quella di avvocato (se non con la garanzia di una tutela maschile autorizzata).

Eppure l’eccezionale episodio ortensino, di una donna estemporaneamente improvvisatasi a difendere i diritti civili di alcune proprie consimili, non proveniva da una persona casualmente pervenuta a tale còmpito forense: in quanto, come membro dell’aristocrazia, per tale suo privilegio sociale Ortensia aveva potuto seguire un itinerario di studi molto particolare e importante (letteratura greca e latina) fino dalla sua giovinezza, applicandosi poi alla pratica della Retorica seguendo gli insegnamenti paterni. E per di più, si ritiene che abbia potuto rinforzare il suo già elevato grado famigliare sposando il proprio secondo cugino, Quinto Servilio Cepione (figlio di Quinto Servilio il Giovane e fratello di Catone Uticense, politico integerrimo e imparziale), che adottò niente meno che Marco Giunio Bruto, uno dei principali assassini di Giulio Cesare.

Anche di Ortensia non possediamo ritratti effettivi, bensì solamente diverse rappresentazioni convenzionali risalenti alle miniature dei manoscritti medievali che ne riportano la storia eroica, divenuta famosa tramite la narrazione fatta dallo scrittore e poeta italiano Giovanni Boccaccio nel suo libro Sulle Donne Celebri stampato nel 1362, variamente riedito e anche tradotto in lingue straniere: immagini quasi tutte identiche, e stereotipate, nelle quali la donna-avvocato, vestita con i costumi del Medioevo, affronta i Triumviri romani perorando la sua causa matronale [Figure 95 e 96].

FIGURA 95 [SOPRA] – Miniatura di Ortensia (raffigurata nel 1426-27 nel manoscritto in latino Sulle Donne Celebri – De Claris Mulieribus – composto dal letterato e poeta italiano Giovanni Boccaccio nel 1361-62) eseguita dall’artista gotico-quattrocentesco Mastro Fiammingo, detto ‘di Boezio’ per distinguerlo da altri suoi miniatori consimili (e soprattutto per le sue illustrazioni effettuate nel 1419 al libro La Consolazione della Filosofia del grande pensatore e scrittore tardo-romano, funzionario speciale e console – tra 510 e 523 – del Re Teodorico degli Ostrogoti). La avvocatessa romana è mostrata nella sua arringa forense davanti ai Triumviri (Ottaviano, Antonio, e Lepido) [fCG 2023]

FIGURA 96 [SOTTO] – Altro ritratto ortensino (Hortensia), rappresentato (sempre con la capace oratrice al cospetto del Triumvirato giudicante) in un incunabolo tedesco del medesimo manoscritto boccacciano, tradotto da Heinrich Steinhöwel e  stampato a Ulma dal famoso – perché fu il primo editore ad introdurre le xilografie nei testi scritti – editore Johannes Zainer nel 1474 (con illustrazioni di grafici, ignoti, della propria bottega d’arte o della locale Corporazione degli Incisori)

Eppure, la sequenza delle donne-avvocato nella antichità e prima della Poet, non si ferma ai pochi nomi più selettivamente tramandati, finora considerati. E per l’epoca della antica Roma la isolata oratrice Ortensia aveva avuto un illustre precedente in almeno altre tre donne, a loro volta romane, che hanno sostenuto una causa forense da sole, per questioni non pubbliche ed invece personali, senza appoggiarsi a un difensore, o tutore, maschile, come era convenzionalmente prescritto alle femmine nell’ordinamento sociale di Roma antica (che richiedeva una sorta di subordine al marito, o al padre, o altro riferimento ad un uomo garante).

La prima di esse è Manilia, la cui vicenda risale ad un secolo anteriore all’episodio ortensino (ed al II secolo aC), e viene ricordata nelle Notti Attiche, componimento di cultura disciplinare varia scritto tra il 175 ed il 179 dal cronista romano Aulo Gellio). Donna risoluta anche nei confronti di persone potenti, ma di umili origini (e per di più prostituta: motivo per cui non ebbe difensori che vollero rappresentarla in tribunale), decise di difendersi da sola e senza avvocato, riuscendo a contrastare ogni accusa ed a convincere i Senatori della propria innocenza.

Mentre le altre due avvocatesse appartengono al medesimo secolo di Ortensia, e di loro riferisce lo storico Valerio Massimo nel suo ponderoso compendio cronachistico Fatti e Detti Memorabili in Nove Libri scritto dal 32 al 36: una è Gaia Afrania (moglie di un senatore, e oratrice determinata che l’autore romano considera donna intrigante e addirittura mostruosa per i suoi duri e veementi atteggiamenti oratorii: dei quali anche la stessa Poet, nella propria perorazione per il suo ricorso citato, ha ritenuto un esasperato esempio forense, dal quale prese cautelativamente le distanze “assicurando che le donne avvocato” della sua epoca “non si sarebbero comportate come lei in aula”); e per l’altra oratrice si tratta di Mesia Sentinate (considerata anche ella come un uomo per la sua “animosità virile”, e per questo soprannominata Androgine), come la precedent sua collega presentatasi da sola in tribunale senza l’apporto di un difensore, o tutelante.

E anche di queste avvocatesse non rimane immagine alcuna di loro raffigurazione.

E sembrerebbe così, con queste antiche principesse del foro citate, che il femmineo elenco delle avvocate debba ritenersi concluso: ma solamente per questo mio indicativo riferimento di significativi esempi; perché molte di più di queste da me considerate avvocatesse sono apparse ed esistite nella storia, anche soltanto italiana. E per la loro complessivamente ampliata esposizione di numero, e personalità (ben 34 in più), rimando ad un vecchio lavoro dell’ avvocato e saggista napolitano Piero Addeo (dal titolo Eva Togata, uscito sul Numero 1 della rivista ‘Saggi di Cultura Giuridica e Forense’ nel 1939) [Figura 97] in cui si ritrova anche una medioevale “Dottoressa in utroque” (ovvero in tutti i ruoli di giurisprudenza, civile e canonica) laureata a Bologna, il “3 giugno 1236”, e pure ella “Somma oratrice”.

FIGURA 97 – La copertina (disegnata dal grafico napolitano – che è stato anche artista e, prioritariamente, architetto – Frediano Frediani) della rivista ‘Saggi di Cultura Giuridica e Forense’ (Primo Numero del 1939, pubblicato dalla casa editrice napolitana Rispoli) contenente la analisi, effettuata dall’avvocato e saggista sempre di Napoli Piero Addeo, riferita alle avvocatesse storiche dalla Grecia e Roma antica fino alla epoca moderna (fCG 2023)

La ritrattistica riguardante la Poet   

Della nostra Lidia è interessante esaminare anche la iconografia che riguarda il suo aspetto fisico, e la fisionomia oggettiva della propria immagine, attraverso le fotografie d’epoca, i disegni che la ritraggono nelle effettive sue sembianze, e anche le caricature e raffigurazioni artistiche del suo personaggio molto dibattuto sui giornali, rielaborate da creazioni artigianali: tramite cui si può raggiungere una sua riconoscibilità effettiva più precisata  , al di là delle descrizioni letterarie e verbali, solamente scritte e senza riscontro visivo.

Anche perché qualche errore di raffigurazione, e attribuzione rappresentativa, della figura fisica della Poet è comparso nei lavori a stampa che hanno trattato la sua raffigurazione autentica, con immagini sempre continuamente riportate e attestate come vere senza controllarne la identità concreta e originale, di cui è necessario segnalare l’errore, per impedirne una ulteriore perpetuazione impropria (che comunque è già abbondantemente avvenuta, e continua a propagarsi, sugli organi di comunicazione di massa, e telematici particolarmente).

E tra queste falsificazioni iconiche (che per la maggior parte delle pubblicazioni sono state involontarie identificazioni, non verificate, esibite in buona fede perché riprese ingenuamente da altre informazioni ritenute attendibili) risalta soprattutto il disguido eclatante del suo presunto ritratto giovanile alquanto improvvidamente pubblicato dalla stampa e su internet, di una graziosa signorina ritenuta Lidia Poet, che però si è rivelato un clamoroso scambio di persona; in quanto questa immagine rappresenta la poetessa estone Lydia Koidula, deceduta nel 1886 (e tale equivoco, inizialmente, forse è dipeso dalla dizione inglese con cui è stata indicata la letterata, scritta Lydia Poet, ovvero poetessa Lidia, che ha creato la confusione nominale con la persona della nostra avvocatessa) [Figure 98, 99-100/101-102].

  FIGURA 98

FIGURA 98 – La immagine del disguido identitario: questa foto, di autore ignoto e senza data (ma comunque dell’epoca giovanile della Poet, essendo la persona in questione deceduta nel 1886), è stata variamente spacciata (e continua in certi casi ad esserlo ancòra adesso) per una immagine della avvocatessa Lidia. Ma in effetti essa riproduce le fattezze di una altra donna, la poetessa estone Lydia Koidula. Questo equivoco nominale, e figurativo, forse è dipeso dalla didascalia inglese con cui è stata indicata la letterata straniera (Lydia Poet, ovvero Lidia la Poetessa), da cui è provenuta la frammistione nominale con la nostra avvocatessa (si vedano anche le Figure 103 e 104) [fCG 2023]

FIGURE 99 e 100 [SOTTO e IN BASSO] – Due tipici casi di malinteso figurale cui giornali, riviste, e siti di Internet sono incorsi nell’usare la Koidula come reale effigie della Poet: nella rubrica telematica Nev (Notizie Evangeliche: “Agenzia Stampa della Federazione delle chiese evangeliche in Italia”) del 26 Febbraio 2023 [sotto], e ancòra prima (del 6 Agosto 2021) sulla copertina del ‘Corriere della Sera Web’, in una presunta, ma erronea, comparazione tra la giovane Lidia con una sua foto da persona matura (anche questa autore ignoto e senza data, ma presumibilmente del 1891: si veda la Figura 108) [in bassoo]. Entrambe fCG 2023

  FIGURA 100

FIGURE 101-102 [SOTTO] – La targa commemorativa della Poet a Torino posta dal Comune cittadino nel 2021 nel Giardino davanti al Palazzo di Giustizia dedicato alla famosa giurista pinerolese [sotto]: imbrattata nel 2022, è stata sùbito cambiata (l’anno dopo), sostituendo anche la precedente foto errata con una nuova sua figura più reale, presa dal repertorio archivistico della avvocatessa (nello specifico, si tratta della immagine del 1922 – forse: di autore anonimo e senza data – usata per la lapide tombale della avvocatessa: si veda la Figura 113) [in basso]. Entrambe fCG 2023

  FIGURA 101

Di tale importante compositrice in versi, e prosa, della Estonia (regione che allora faceva parte dell’impero russo), occorre riportare una sua sinteticissima biografia riconoscitiva, e soprattutto mostrare la sua effigie autentica come è stata ritratta dal vero in diverse fotografie, inequivocabilmente come immagine di altra fisionomia dalla figura della Poet (sebbene alquanto similare) e quale donna, oltrechè contingentemente affascinante, anche determinatamente risoluta [Figure 103 e 104].

103 e 104 – Due immagini autentiche della letterata (poetessa e scrittrice) estone Lydia Emilie Florentine Jannsen, autosoprannominatasi Koidula, ovvero Alba, avendo ella deciso di dedicare la propria attività culturale alla causa di rinascita patriottica moderna del nazionalismo della Estonia, di cui fu la prima rappresentante quale scrittrice e poeta: in un Fotoritratto di autore anonimo del 1870, alla età di 27 anni [sopra] e nella effigie del 1875 del fotografo suo compatriota Reinhold Sachkner di Tartus [sotto]

Il suo vero nome era Lydia Emilie Florentine Jannsen, autosoprannominatasi Kodula, ovvero Alba, perché la poetessa ha voluto dedicarsi alla causa di rinascita patriottica moderna del nazionalismo estone, di cui fu la prima interprete quale compositrice poetica non solamente femmina. E’ però stata anche una scrittrice, e particolarmente giornalista, avendo assiduamente collaborato con il padre (Johann Voldemar, anche egli attivista nel nazionalismo estone, fondatore del primo giornale locale in lingua patria) agli articoli di quell’organo di diffusione a stampa, che la hanno fatta riconoscere anche quale pioniera del giornalismo femminile della Estonia.

E tornando quindi alla vera immagine reale della nostra Lidia (escludendo la generica figura – di autore ed anno sconosciuti – pubblicata sul Mumero 26 della rivista ‘La Pazienza’ del 1990,  riprodotta sulla copertina del primo libro scritto, sulla avvocatessa pinerolese, dalla più nota sua biografa Clara Bounous, che la effigia come una leggiadra fioraia romantica dell’Ottocento con in mano però il Novissimo Codice di Procedura Penale) [Figura 105], l’iniziale, e di età più giovane (28 anni), ritratto della Poet ci proviene dal disegno (di grafico anche esso ignoto) pubblicato sul ‘Corriere della Sera’ del 1883 (al 4 di Dicembre), all’indomani del divieto, nei suoi confronti, del tribunale torinese a sostenere la professione in pubblico della avvocatura, figurativamente accompagnante una intervista da Lidia rilasciata in merito a quella sentenza [Figure 106].

FIGURA 105 [SOPRA] – Una inventiva – ma non per sbaglio figurativo, bensì per una ideale rappresentazione di una giovane fanciulla dell’Ottocento indicativamente approssimabile, per epoca, alla figura della Poet – utilizzata per la copertina del 1997 del libro di Clara Bounous La Toga Negata (foto però  ripresa dal giornale ‘La Pazienza del 1990 nel Numero 26): la fanciulla è presentata in una veste di contadina-borghese con abbondanti fiori in grembo, ma anche di condizione intellettuale, perché regge in una mano un libro del Novissimo Codice di Procedura Penale (che per venire considerato dell’epoca poetesca dovrebbe corrispondere a quello italiano del 1889, quando Lidia era 34enne): raffigurazione alquanto però lontana dalla reale caratteristica fisionomica, sobria e maggiormente severa, della Avvocata di Pinero (fCG 2023)

FIGURA 106 [SOTTO]– Il ritratto autentico (e la prima effigie in assoluto conosciuta) di Lidia Poet (di autore ignoto ma del 1883)

  FIGURA 106

Osservando le immagini fotografiche più immediatamente successive, anche nella diversità delle loro annate (che potrebbero, rispettivamente, datarsi – con approssimazione – al 1886 ed al 1891) è chiaramente riconoscibile la loro somiglianza con il disegno apparso sul quotidiano del 1883 [Figure 107 e 108]; ed in tale caso nessun equivoco identificatorio può essere sollevato per quanto riguarda l’aspetto fisico della persona ritraente la Poet (mentre più difficoltosa, e azzardata, risulta – in mancanza, finora, di attestazioni probanti – la possibilità di stabilirne le precise annate di ripresa fotografica).

  FIGURA 107

FIGURE 107 e 108 – Una altra fotografia autentica, molto simile alla precedente,  della avvocatessa (anche essa di fotografo sconosciuto e non datata, ma probabilmente del 1886) [sopra]. E’ evidente la estrema somiglianza delle due immagini, che sono pertanto riconoscibili come originali: la prima (alla Figura 106) indubbiamente, perché disegnata per una intervista rilasciata da Lidia nel 1883 dopo il divieto tribunalizio che la escludeva dalla attività forense (e dunque alla sua età di 28 anni), e la seconda (Figura 107) scattata quando la Poet era di poco più vecchia (e trentunenne: non escludendo però, nella totale impossibilità di certificazione dataria, di ritenere che questa ultima raffigurazione sia anche essa del 1883, e proprio il modello da cui il grafico anonimo ha tratto il disegno per il servizio giornalistico). Una similarità fisica comunque confermata anche da una successiva foto, pure questa di autore anonimo e senza data (ma forse del 1891), ripresa da una Carta di Identità della avvocatessa alla età di 36 anni [sotto]. Tutte fCG 2023

E così dunque avviene per le successive, cronologicamente, raffigurazioni autentiche della maturità e vecchiaia, ritrovate in altre pubblicazioni o nei documenti privati della famiglia Poet, e variamente riportate però senza datazione annuale: come lo è la effigie pubblicata nel 1955 (Numero 4) del ‘Gazzettino Forense’, mostrante una altra immagine di Lidia (anche questa di autore ignoto e non datata) nella solita posa di sbieco ma con un volto più paffuto e meno scarno, difficilmente però da riuscire esattamente a datare (e forse della età di 40 anni, e dunque del 1895) [Figura 109].

   FIGURA 109

FIGURA 109 – Un ulteriore ritratto fotografico, pure questo purtroppo di autore ignoto e senza data, di Lidia Poet, ripreso dal ‘Gazzettino Forense’ del 1955 (Numero 4): forse raffigura la avvocatessa pinerolese alla età di 40 anni, e dunque risalente all’anno 1895 (fCG 2023)

E lo stesso si può considerare delle temporalmente successive foto, a cominciare da quella a figura intera davanti a un tavolino, utilizzata sempre dalla Bounous per la copertina dell’altro suo libro, più recente (del 2022), sulla Poet (corrispondente ad una età, esagerando, di 45 anni, e dunque del 1900) [Figure 110 e 111]; nel medesimo modo analogo per le altre …

FIGURE 110-111 [SOPRA e SOTTO]– Il ritratto fotografico di Lidia Poet (di autore sconosciuto e senza data: ma probabilmente del 1900, quando l’avvocatessa poteva avere al massimo 45 anni) [sopra] riprodotto nella copertina del recentissimo libro della Bounous citata (Lidia Poët – Una donna moderna) del 2022 [sotto]. A questa epoca la combattiva avvocatessa si era già alquanto impegnata nella propria opera di energica attivista, ma anche di risoluta scrittrice, rivolta al riconoscimento della professione giuridica delle donne, e sostenitrice della lotta verso i loro diritti civili più generali ma anche nei confronti di altri aspetti specifici di umana giustizia (in particolare per un idoneo trattamento dei carcerati minorenni, da lei perorato nei Congressi Penitenziarii mondiali). Entrame fCG 2023

  FIGURA 111

… immagini più vecchie di altrettanto labile riferimento temporale – forse del 1919 e 1922, e quindi degli anni 64 e 67 – scattate: sicuramente la prima di esse (Avvocata Lidia Poet), dal noto studio fotografico del torinese Michele Schemboche, attivo a Torino dal 1874 ma morto nel 1885, e sostituito –  come meglio esplicherò tra poco nella trattazione sulla iconografia del De Amicis – dal collega ligure-fiorentino Ettore Bertelli, che condusse il laboratorio schembochino dal 1906 fino al 1911 (fatto che però retrodaterebbe di molto gli anni presunti, come analizzerò tra poco più sotto), e la seconda usata nel 1949 per la lapide tombale della avvocatessa, morta novantaquattrenne (fCG 2023) [Figure 112 e 113]

                     

FIGURE 112 e 113 [SOPRA] – Le due ultime immagini conosciute della avvocatessa pinerolese, di età presumibilmente sessantenne: in una foto del laboratorio fotografico Schemboche (Avv.o Lydia Poet) senza data (ma forse del 1919, se non addirittura prima: si vedano le Figure 114 e 115) ripresa dalla analisi storico-critica di Ilaria Iannuzzi (ricercatrice e storica) e Pasquale Tammaro  (giurista e scrittore) pubblicata nel 2021 sul sito dell’Ordine degli Avvocati di Torino [sopra, a sinistra], e nel ritratto ovale (Lidia Poët di fotografo anonimo ed anch’esso non datato, ma tuttavia, forse, del 1922) [sopra, a destra]. La prima delle due immagini è di produzione schembocheana, eseguita però dai successori del fotografo torinese – Natale Baldi e Giovanni Nardi dal 1908 – e dal 1906 al 1911 dal collega Ettore Bertelli per il laboratorio torinese), mentre la seconda (anche questa senza autore e non datata, ma forse pure essa dello Studio Schemboche) costituisce il ritratto collocato sulla tomba della giurista, sepolta nel 1949 (anno della sua morte, avvenuta a Diano Marina) nel Cimitero di San Martino a Perrero (la cui lapide la riconosce quale “prima avvocatessa d’Italia”). Entrambe fCG 2023

E’ infatti da una ulteriore foto poetesca molto simile al ritratto schembocheiano del 1919 sopra citato – e per l’aspetto della ripresa, coeva a quella foto, ed anzi proprio del medesimo anno, essendo capigliatura e vestiario della giurista del tutto identici, variando solamente la posa dello scatto – che proviene il dubbio datario riguardante le sue penultime fotografie: questa immagine infatti, è stata impiegata per il frontespizio di una pubblicazione per la Conferenza della Signorina Lydia Poët – nome proprio scritto con la ‘y’! – “tenuta in Torino il 4 Aprile 1914”) stampata proprio quell’anno stesso [Figure 114-115]; e dunque rientrante in quella data del 1911 di finale conduzione bertelliana dello studio fotografico torinese del Schemboche sopra riferito.

          FIGURE 114 e 115         

FIGURE 114 e 115 – Particolare della fotografia, con la sua firma sotto, della avvocatesa pinerolese (Studio Schemboche, Lidia Poet, senza data: ma probabilmente del 1911), ripresa da una bacheca espositiva chiusa (e per questo risultata sbiadita) [sopra, a sinistra] confrontata con la più nitida immagine pubblicata nel secondo libro bounousiano nel 2022 (nel quale non viene riportata però la intera figura, che evidenzia la data (1914) della pubblicazione, riferita ad una conferenza torinese tenuta quell’anno dalla giurista pinerolese) [sotto, a destra] Entrambe fCG 2023)

Le fasi sostanziali della attività della Poet collegate ai suoi ritratti fotografici

Per inciso, tutte queste immagini fotografiche precedentemente descritte sono state prodotte in momenti importanti della carriera della avvocatessa pinerolese, ed alcune anche utilizzate per i suoi testi a stampa: il periodo grafico-fotografico tra 1883 e 1886 è la fase iniziale della professione negata, in cui la Poet pubblicò la sua già commentata requisitoria legale per la propria ammissione di diritto, quale laureata in Giurisprudenza, all’Albo degli Avvocati con il famoso riportato Ricorso [Figura 79], e partecipò al Terzo Congresso Penitenziario Internazionale che si tenne a Roma nel 1885 (con una propria relazione per la quale – oltre a ricevere ufficiosamente riconosciute lodi per le sue qualità analitiche – ricevette l’onore di vedere le proprie “risoluzioni presentate” quali “conclusioni adottate alla unanimità”) [Figura 116]; mentre le fasi successive, del periodo più maturo e poi di invecchiamento, testimoniano dei suoi sviluppi cultural-giuridici di maggiore consistenza espositiva.

FIGURA 116 – Due pagine degli Atti del Terzo Congresso Penitenziario Internazionale che si svolse a Roma nel 1885, cui la Poet partecipò con una propria relazione; che – oltre a ricevere ufficiosamente lodi riconosciute per le qualità tecnico-professionali della sua stesura – ebbe l’onore di vedere le proprie “risoluzioni presentate” quali “conclusioni adottate alla unanimità” dai partecipanti al convegno (fCG 2023)

Tra cui, sempre negli anni presumibili delle foto riportate, al 1891 risale il Rapporto presentato al Quarto Congresso Penitenziario svoltosi l’anno prima (1890) a San Pietroburgo (in cui la Poet era delegata italiana e lettrice di una relazione inaugurale per la propria sezione) [Figura 117]; quindi al 1900 compete l’intervento al Sesto Congresso penitenziale, riunitosi a Bruxelles quell’anno, nel quale Lidia promuoveva una iniziativa volta ad “assicurare una educazione razionale ai giovani delinquenti, come pure ai bambini traviati o soltanto moralmente abbandonati”) [Figura 118]; ed al 1919-22 si riferirebbe la sua acquisizione legalmente riconosciuta all’Albo degli Avvocati d’Italia [Figure 87-88], e poi la nomina (nel 1922) a Presidente del Comitato Pro Voto Donne di Torino, e ancòra la preparazione della sua partecipazione all’ultimo, e Nono, Congresso Penitenziario di Londra del 1925 (dopo un decennio di interruzione di quegli incontri internazionali) [Figura 119].

  FIGURA 116

FIGURA 116 [SOPRA] – Due pagine degli Atti del Terzo Congresso Penitenziario Internazionale che si svolse a Roma nel 1885, cui la Poet partecipò con una propria relazione; che – oltre a ricevere ufficiosamente lodi riconosciute per le qualità tecnico-professionali della sua stesura – ebbe l’onore di vedere le proprie “risoluzioni presentate” quali “conclusioni adottate alla unanimità” dai partecipanti al convegno (fCG 2023)

FIGURA 117 [SOTTO] – Il lavoro presentato al Quarto Congresso Penitenziario svoltosi nel 1890 a San Pietroburgo, nel quale Lidia era delegata italiana e lettrice di una relazione inaugurale per la sua sezione (fCG 2023). Questo elaborato, scritto in francese (come gli altri rapporti di queste sessioni internazionali) viene indicato come “presentato dalla Signorina Lydia Poët” (sempre con il nome tipografato con la ‘y’ e non con la ‘i’) “dottore in diritto a Pinerolo”

  FIGURA 117

118 [SOTTO] – Pagina iniziale dell’intervento della Poet al Sesto Congresso Penitenziario, riunitosi a Bruxelles nel 1900, nel quale la relatrice promuoveva una iniziativa volta ad “assicurare una educazione razionale ai giovani delinquenti, come pure ai bambini traviati o soltanto moralmente abbandonati” (fCG 2023)

FIGURA 118

FIGURA 119 [SOTTO] – Stralcio della Relazione poetiana letta al Nono, e ultimo, Congresso Penitenziario mondiale, svoltosi a Londra nel 1925 (dopo un decennio di interruzione di quegli incontri internazionali) [fCG 2023]

  FIGURA 119

Eterogenee rappresentazioni, caricaturali e artisitche, riguardanti la Poet

E adesso, riprendendo l’esaminazione delle rimanenti immagini riferite alla avvocatessa pinerolese, restano soltanto le sue raffigurazioni nel loro repertorio inventivo di rappresentazione traslata, prodotte dalla creativa elaborazione artistica, grafica e artigianale, e interpretata dalla finzione cinematografico-televisiva: iniziando, emblematicamente, dalla gagliarda caricutara effettuatale nel 1938 effettuata dal marchigiano Francesco Acqualagna (disegnatore diplomato alla Scuola del Libro di Urbino, e professante a Milano), che la riprende, bionda e matura ma ancòra di aspetto giovanile, nonché istituzionalmente togata, su un banco di tribunale mentre espone infervorata la propria arringa oratoria (in quel ruolo finalmente riconosciutole dopo anni di dinieghi e traversìe) [Figura 120].

FIGURA 120 – Francesco Acqualagna, Lidia Poet, 1938 (fCG 2023). Questa immagine è stata pubblicata sul giornale ‘Il Popolo’ nel suo numero di Marzo (del 1938, ovviamente)

Cui devo aggiungere infine, una misteriosa (poiché pochissimo di essa sono riuscito a trovare) vignetta di Lidia avvocata (non realistica però, ed immaginaria) eseguita quasi un ventennio prima con già riconoscibile stile déco, disegnata da un ignoto illustratore di cui non ho scoperto nome e data di esecuzione (e comunque del primo ventennio del Novecento: e non vorrei proprio dello stesso ancòra polemico 1920 di ammissione poetina all’albo professionale), paludata anche in tale circostanza della negata toga fino ad allora impedita di indossare) peròra una sua possibile causa legale, sottolineata dalla sarcastica didascalia riportante come finalmente “La Legge è uguale per Tutti” (anche per le donne)! [Figura 121].

FIGURA 121 – La caricatura Lidia avvocata, di autore ignoto che non ho ritrovato, e non datata (ma probabilmente del 1920, anno di accettazione ufficiale  della Poet quale avvocatessa professionista), rappresentante una imponente giurista in un immaginaria causa giudiziaria durante una arringa in tribunale, evidenziata da un grande titolo ricordante come “La Legge è Uguale per Tutti” (ed anche, finalmente, per le donne!) (fCG 2023)

Del resto questa immagine, con netta evidenza, è stata dal caricaturista ignoto ripresa quasi identicamente dalla cartolina francese raffigurante L’Avvocato nella serie popolare di immagini riguardante ‘Le Donne dell’Avvenire’, pubblicata nel 1902 dal fotografo Albert Bergeret di Nancy; e dunque la sua datazione – nella considerazione dell’esternato stile déco che la contraddistingue – può benissimo venire riportata all’anno 1920 da me ipotizzato [Figura 122].

  FIGURA 122

FIGURA 122 – La cartolina popolare del fotografo francese, di Nancy, Albert Bergeret, riproducente L’Avvocato nella serie popolare riguardante ‘Le Donne dell’Avvenire’, pubblicata nel 1902: è il modello evidente di riproposizione della caricatura precedente, e come tante altre effigi riferite alla Poet è stata malamente attribuita alla figura della avvocatessa pinerolese 

Ed anche per questo generico ritratto figurale, immediatamente la falsificazione mediatica è pervenuta alla errata attribuzione: venendo assurdamente, e impropriamente (ma anche per evidente impossibilità cronologica) identificato dal giornalismo telematico di massa alla figura della nostra Lidia!

Procedendo nella restante analisi iconografica sulla Poet, si giunge quindi ai recentissimi fotogrammi della serie televisiva di NetFlix girati nel 2023, con la sua protagonista Matilda De Angelis (che a mio parere – indipendente dagli errori contenutistici della sceneggiatura ampiamente evidenziati dalla stampa e su Internet di cui però la interprete non è responsabile, seguendo ella soltanto le indicazioni del copione affidatole – è comunque una accettabile attrice) nell’aspetto più o meno somigliante al personaggio femminile del filmato [Figure 123-124 e 125-126].

                  

123-124 [SOPRA] e 125-126 [SOTTO] – Un doppio confronto identitario tra l’attrice italiana Matilda De Angelis, nel ruolo di protagonista della finzione televisiva prodotta da Netflix sulla vita della Poet mandata in onda nel 2023 [sopra, a sinistra; e sotto a sinistra] e due immagini fotografiche di Lidia [ in basso], rispettivamente riprese dalla foto del 1900 (si veda la Figura 110) e dal disegno del 1883 (si vada alla Figura 106). Entrambe fCG 2023

              

Alle cui intermedie rappresentazioni potrebbero rientrare anche – sempre ugualmente in questi casi in forma ipotetica, perché di reali immagini autentiche non si può effettivamente dire in tali casi – innanzitutto il disegno del popolare illustratore vicentino-lombardo, indimenticabile per la sua espressione realistica di immediatezza figurativa, Achille Beltrame apparso sulla ‘Domenica del Corriere’ del 1908 (tra l’altro anno di morte del De Amicis), raffigurante un momento del “Primo Congresso delle Donne Italiane a Roma” tenuto in Campidoglio [Figura 127], le cui figure femminili presenti sul podio …

FIGURA 127 [SOPRA] – Achille Beltrame,  Il primo Congresso delle donne italiane a Roma, 1908: illustrazione pubblicata su ‘La Domenica del Corriere’ (tra l’altro proprio l’anno di morte del De Amicis), raffigurante un momento del convegno tenuto in Campidoglio nella “seduta inaugurale nella sala degli Orazi e Curiazi”, le cui figure femminili presenti sul podio potremmo immaginare, per una di loro, di essere riferita alla nostra avvocatessa (e se non proprio la oratrice in piedi, qualche altra donna seduta di schiena) [fCG 2023]

… potremmo immaginare, per una di loro, risultare la nostra avvocatessa (e se non proprio la oratrice preminente, qualche altra donna seduta di schiena); e quindi il riporto cronachistico di un quindicennio precedente – alquanto confuso nella fotografia di ripresa – del “Congresso Penitenziario di Roma” del 1885 [Figura 128], dove però la incomprensibile immagine dell’oratore, sul fondo di una sala affollatissima, non ne rende percepibile alcuna identificabilità precisa alla Poet (sebbene nelle notizie didascaliche il suo nome viene espressamente riportato).

  FIGURA 128

FIGURA 128 [SOPRA] – La immagine del Congresso Penitenziario di Roma del 1885 (di fotografo anomino, e ripresa dagli Atti dei Congressi Penitenziari di Parigi) con la foto ufficiale di un intervento: il cui oratore (o oratrice) – alquanto confuso nella fotografia di riporto – non è riconoscibile (fCG 2023); anche se la didascalia sottostante alla foto appare chiaramente riferita al nome di “Poet, Lydia” (stampato anche questa volta con la y!) ed al suo lungo curricolo bibliografico e di interventi scritti

 

Occorrerebbe, per questi ritrovamenti di ulteriori figure di Lidia non ancòra pervenute, cercare meticolosamente tra le documentazioni degli altri Congressi cui la avvocatessa pinerolese ha partecipato (che sono in pratica tutti i simposii dal 1885 al 1925, tranne quello di Washington del 1910 al quale Lidia non ha potuto presenziare), nonché nelle immagini del fotografo torinese Luigi Montabone (il cui stabilimento fotografico romano, e corrispondente archivio, ebbe come titolari dal 1905 al 1910 gli italiani Fratelli Vuillemenot – dei quali non sono riuscito a ritrovare i nomi propri – che avevano rinominato il negozio Atelier Fotografia Reale, in una succursale nella capitale d’Italia, passata, con la morte montaboniana – avvenuta nel 1877 – a diversi colleghi in successione fino al 1912: Achille Bertelli – col proprio aiutante e poi gestore Adolfo Costa – Angelo Rovere, e Adolfo Majoni): e vedere se qualche fortunata fotografia emerge con la fisionomia della nostra giurista. Cosa che per adesso tralascio di indagare per la complessità del repertorio da esaminare, ripromettendomi magari di seguire una apposita ricerca in futuro, rimanendo ora nella continuazione di questo saggio soltanto.

E pertanto, per chiudere almeno con una ricerca ricognitiva (e riconoscitiva) più riferita al Congresso femminile romano del 1908, sono risalito alle foto scattate allora, e pubblicate per l’evento (anche queste di autore anonimo, ma probabilmente del sopra citato laboratorio vuillemenottian-montabonese): nelle quali però, tra le multi-agghindate donne che sono state riprese, nessuna sembra (nemmeno cercando di individuarne le specificità vestiarie negli abbigliamenti regionali) essere la nostra Lidia [Figure 129-132].

           

          

129-132 – Una serie di immagini ufficiali del Congresso delle Donne tenuto a Roma nel 1908, scattate in quella circostanza ma prive di indicazione di autore e data. E’ però molto probabile che le riprese siano state effettuate dal Laboratorio (Atelier, originalmente) di Fotografia Reale Montabone, che allora (e tra 1905 e 1910) era gestito nella capitale italiana dagli altrettanto romani Fratelli Vuillemenot. Nella prima immagine si può riconoscere la medesima posa ritrovabile nel disegno beltramiano (si veda la Figura 127), che l’artista del rotocalco domenicale ha disegnativamente adattato [sopra]; mentre nelle altre foto si può constatare come la figura della Poet non compaia tra le donne riprese. Una sua eventuale documentazione visiva di allora andrebbe dunque ricercata nei repertori archivistici dei fotografi di quell’epoca, ed in particolare nei collaboratori del già citato torinese Michele Montabone (uno dei più importanti pionieri italiani della fotografia moderna) che hanno continuato la conduzione del suo Studio Fotografico romano. Il cui primo diretto successore, nel laboratorio a Torino, è stato il fotografo Achille Bertelli che gestirà lo stabilimento sino al 1888; al quale dal 1889 subentra Angelo Rovere. Dal 1892 erede della Fotografia Reale è Adolfo Majoni che esercita sino al 1912, anno in cui lo sostituisce Riccardo Scoffone, nipote montaboniano. Bertelli sarà successore di Montabone anche a Genova e a Napoli. Invece, per l’esercizio romano, lo Studio resta, almeno fino al 1886, sotto la direzione del fotografo Giacomo Borelli, mentre dal 1891 è Mariano Costa a succedergli nel 1892; ma dal 1904 diventa titolare Adolfo Costa, e quindi – come ho già osservato – dal 1905, e fino al 1910, risultano proprietari, del negozio di Fotografia Reale Montabone, i sopra ricordati fratelli Vuillemenot. A Milano come successori montabonesi si ritrovano Carlo Marcozzi e Carlo Fumagalli, il quale ultimo tiene anche una succursale a Napoli. Inoltre, a Genova, dopo il Bertelli, interviene Giuseppe Pitteri, che aprirà in città tre “gabinetti di fotografie” nella strada nuova dell’alta borghesia genovese, ricordando – sul retro delle stampe fotografiche – i riconoscimenti ufficiali (“massime onorificenze” ricevute a Milano nel 1906, a San Remo nel 1908, ed a Torino nel 1911). Da parte sua, infine, il Montabone era stato insignito del Primo Premio alla Esposizione Universale di Parigi del 1867, e segnalato alle Esposizioni Nazionali di Torino del 1868 e del 1872 (anno, questo ultimo, in cui ha ottenuto il titolo di Cavaliere “per le sue benemerenze in campo fotografico”)

Una assenza fatale che neppure si configura nella nota altra foto del convegno di Roma, stampata (sempre ovviamente nel 1908) sulla copertina della “rivista quindicinale illustrata” ‘La Donna’ (per il Numero 81) [Figura 133].

FIGURA 133 – Fratelli Vuillemenot (titolari dell’Atelier di Fotografia Reale Montabone in Roma), Un gruppo di personalità del Congresso, 1908. Si tratta di alcune delegate romane (non comprendenti però la Poet), riprese intorno alla figura (al Numero 5) della “Presidente Generale” del convegno, la Contessa Gabriella Rasponi-Spalletti (fCG 2023)   

Ma proprio per concludere con una più completa analisi delle riprodotte effigi esistenti della avvocatessa, ultimamente assurta alle cronache delle eroine nazional-internazionali del femminismo socialmente impegnato, manca solo di citare le recenti sculturine degli artisti della ceramica di Caltagirone in Sicilia, nella cui produzione artigianale (promossa dalla associazione modenese Reti di Giustizia) sono stati realizzati nel 2022 diversi esemplari di Statuetta Lidia (opere dei caltagironesi Fabrizia Lamaglia e Nicola Galesi) e di Bustino di Lidia Poet (esemplari, questi ultimi, usabili anche come porta-lampade) nella tipica procedura della “argilla bianca e terraglia tenera” cotta e colorata – a smalto – in forno [Figure 134 e 135].

FGURA 134 [SOPRA]

FIGURE 134 e 135 – La recente produzione (del 2022) di oggetti ceramici da soprammobile raffiguranti la avvocatessa piemontese: la Statuetta Lidia degli scultori-artigiani siciliani di Caltagirone Fabrizia Lamaglia e Nicola Galesi [sopra, in alto], ed il Bustino di Lidia Poet di autore anonimo (usabile anche come porta-lampade), tutti plasmati con la tipica procedura della “argilla bianca e terraglia tenera” cotta e colorata – a smalto – in forno [sopra, in basso] (fotografie di autori anonimi della Associazione Reti di Giustizia con sede a Modena, e senza data)

Nella quale produzione artistica colgo l’occasione per inserirmi anche io, con un contributo grafico personale di un mio disegno (Poet-icità) di questo anno 2023, quale modesta partecipazione estetica alla definizione espressiva della figura lidiana, approntato appositamente per questo mio saggio critico [Figura l36].

 

FIGURA 136 – Corrado Gavinelli, Poet-icità, 2023. Esercizio foto/grafico-cromatico effettuato sul ritratto iniziale di Lidia Poet del 1883, in una sua sintetizzante contestualizzazione geografica

Edmondo

Invece, a riguardo della sequenza delle fotografie inerenti alla immagine del De Amicis ritratto nel periodo di sua permanenza a Pinerolo (1882-1897 almeno) e di successivo compimento della propria esistenza (la sua morte sopraggiunge nel 1908) partiamo sùbito dal fatidico 1883 (quando Edmondo era trentasettenne), anno di vicino compimento finale del libro Alle Porte d’Italia, pubblicato l’annata seguente dall’editore romano Sommaruga, e della fresca conoscenza deamicisiana della Poet [Figura 137]: una pomposa immagine di imponenza posizionale (postura alla quale praticamente lo scrittore ligure si attenne sempre, se non nelle riprese da anziano, per le quali preferiva stare seduto) disegnata per l’editore francese Hachette di Parigi dall’artista Etienne Antoine Eugene Ronjat e incisa dal collega Henri Toussaint (in occasione della traduzione francese del libro Costantinopoli, uscita proprio quell’anno 1883) [Figure 138].

137, e 138 – Ritratto di Edmondo De Amicis del 1883 (il romanziere aveva 37 anni) normalmente attribuito al grafico e pittore italiano Cesare Biseo, illustratore dell’editore francese Hachette di Parigi. Ma, come si può ricavare dai nomi scritti sulla stampa, il disegno è del pittore francese Etienne Antoine Eugène Ronjat e la incisione risulta del suo collega artista Henri Toussaint [sopra]. Il disguido referenziale dipende dal fatto che il lavoro biseonese non comprende quella immagine (di indipendente appartenenza al frontespizio del libro, ed elaborata pertanto – come ho specificato sopra – da altri autori) perché il suo lavoro illustrativo vero e proprio ha riguardato le altre immagini nel volume, e ben “183 disegni presi dal vero da C. Biseo”. Questa raffigurazione deamicisiana è stata scelta per la edizione francese (del 1883) del libro Costantinopoli (in Italia pubblicato dagli editori Fratelli Treves di Milano molto tempo prima, nel 1877) [sotto]; e le figure cosiddette prese “dalla natura” (cioè dal vero, sul posto) come ha riferito il loro disegnatore, provennero dal viaggio ad Istambul che Edmondo ha appositamente effettuato, con il pittore suo illustratore, un paio di anni prima (1875-76). Entrambe fCG 2023

E di un paio di anni dopo (del 1885) è l’altro ritratto intero, ed effettuato nella stanza da studio torinese del romanziere “seduto sulla sua Poltroncina”, accanto alla propria libreria e davanti al tavolino su cui scrisse la prima lettera alla Poet, in una foto di autore anonimo che alcuni cronisti ritengono già del torinese Michele Schemboche [Figura 139].

FIGURA 139 [SOTTO]– Fotografo Ignoto (ma probabilmente Michele Schemboche), Edmondo De Amicis seduto sulla sua Poltroncina, 1885: la foto è ripresa nella nuovissima stanza-studio del romanziere, nel proprio primo appartamento a Torino in cui il trentanovenne scrittore aveva preso fissa dimora dall’anno prima. E’ da questo tavolino che il letterato ha scritto la prima lettera, del 1883, inviata alla Poet (si veda la Figure 16)

Sempre di questo periodo, e riferita al 1886, ci è pervenuta una altra immagine – pure essa circostanziatamente impettita – del narratore ligure [Figura 140]; di autore sconosciuto, e forse scattata proprio per la circostanza della edizione (avvenuta quell’anno) del capolavoro letterario di Edmondo, il famosissimo romanzo moralistico Cuore pubblicato daI Fratelli Treves a Milano (e anche esso steso nella prima abitazione torinese dello scrittore) [Figure 141 e 142], che è stato uno dei testi di grande successo più diffusi …

140 e 141-142 – Il Ritratto dello scrittore italiano Edmondo De Amicis (di autore ignoto dell’Archivio Fotografico Mondadori di Milano, senza data, ma del 1885-86) [sopra] raffigurante il trentanoven-quarantenne De Amicis  all’epoca della stesura del suo capolavoro letterario, il famosissimo, anche in tutto il mondo, Libro Cuore (pubblicato nel 1886 sempre dall’editore milanese Treves) [sotto]. Dal 1879 (e non dal 1884 come qualche cronista riporta) lo scrittore si stabilì a Torino, in un alloggio-studio del settecentesco Palazzo Perini (ed in cui visse anche l’altro grande narratore di avventure, Emilio Salgari) nella allora Piazza San Martino (adesso XVIII Dicembre) al Numero 1, davanti alla vecchia Stazione Ferroviaria di Porta Susa (sito segnato con pallino blu sulla mappa del 1883 di Torino del cartografo tedesco Ernst Debes e del connazionale litografo, con cui era commercialmente socio, Heinrich Wagner) [in basso]. E’ proprio in questo caseggiato che Edmondo stese, preso da un inarrestabile impeto produttivo, la sua grande opera di vicende scolastiche, ispirata alla vita studentesca dei figli Furio e Ugo (tutto fCG 2023)

  FIGURA 141

… in Italia ed in tantissime nazioni estere [Figure 143-145, e 146-148 (e 149 e 150)].

FIGURE 143-144 e 145 – La fama internazionale suscitata dal libro Cuore deamicisiano in due esemplari di traduzione estera: la vecchia edizione del 1894 in tedesco (Herz) [sopra], e la recente pubblicazione vietnamita (Tam-Hon-Cao-Thuong) del 2022 [sotto]: entrambe con la figura di copertina ripresa dal medaglione superiore del primo volume originale italiano (1886) disegnato da Enrico Nardi [in basso]. Tutto fCG 2023

  FIGURA 145

  FIGURA 146

FIGURE 146-148 (e 149-150) – I libri Cuore della mia infanzia, stampati in italiano: nelle edizioni del 1943 (quando sono nato) pubblicate da Garzanti di Milano (la prima apparsa con la famosa figura del ragazzo protagonista, Enrico Bottini, riprodotta in copertina per decenni) [sopra] e la seconda del 1951 con gli iniziali disegni, un poco ancòra acerbi, del giovane illustratore Bruno Angoletta [sotto]; che è stato il disegnatore della copertina del volume del 1954 (esemplare regalatomi dai miei genitori ad 11 anni) di pubblicazione sempre garzantiana (tra l’altro ultimo testo di lavoro illustrativo angolettano, in quanto il grafico-artista bellunese, attivo a Milano, morì proprio quell’anno) [in basso]. Questo particolare disegnatore e grafico, è un autore cui sono stato artisticamente molto affezionato, per la sua maturata espressione figurativa sintetica, compendiante Futurismo e Art-Deco, e riconoscibile per il piglio schematico da fumettista-caricaturista che dal 1928 lo ha reso acclamato a causa del suo indimenticabile personaggio per bambini, il soldato Marmittone del ‘Corriere dei Piccoli’ [più sotto]. Artista versatile, di cui non si deve dimenticare anche l’essenziale marchio da lui creato nel 1933 per la collana libraria mondadoriana La Medusa di [più in basso]

             FIGURE 149 e 150              

 

Invece già di più matura età si mostra il ritratto deamicisiano del 1889, ancòra a mezzo busto, in cui il 43enne Edmondo (nella riproposizione in ovale nel 1894) questa volta è sicuramente stato scattato nello Stabilimento Fotografico schembocheiano di Torino, ma non dal suo titolare (che era ormai morto 4 anni prima, nel 1885) bensì da uno dei suoi collaboratori [Figura 151].

FIGURA 151 – Edmondo De Amicis, ritratto in ovale del 1894 (riproduzione dall’originale del 1889 del già citato fotografo torinese Schemboche) [sopra], variamente impiegato in sèguito in diverse versioni a stampa litografica, per riviste e cartoline (si vedano le Figure 152-153, e 154).

Questa foto, che è stata abbondantemente riprodotta su giornali e riviste italiane [Figure 152-153, e 154], costituisce un altro prototipo di posa deamicisiana. Che anche in ulteriori immagini di sistemazione leggermente variate, ritrova una costante condizione di ripresa.

  FIGURA 152

FIGURE 152-153 (e 154) – La conferma del fotografo, e dell’incisore (per tutti i casi, il disegnatore milanese di genere, Ernesto Mancastroppa), nonché dell’anno, della precedente raffigurazione deamicisiana, si ritrova comunque nell’altro importante (e forse di più) periodico dell’epoca, ‘L’Illustrazione Italiana’ (molto diffuso anch’esso nella nazione) sul Numero 12 del 1889 [in alto]. E la data esatta della immagine proviene dalla notizia, riferita da ‘L’Illustrazione Popolare’ (“giornale per le famiglie” italiane) del 1908, nel numero uscito per la commemorazione della morte del narratore, che la foto è stata scattata “nel 1889 (quando il romanziere pubblicò il libro Sull’Oceano)” [sopra e in basso]. Tutto fCG 2023. Michele Schemboche, già precedentemente commentato, è stato un importante fotografo italiano di cui tuttavia non si conoscono le località (e gli anni) di nascita e di morte (ma si presume che il suo decesso sia avvenuto nel 1885): specializzatosi nel ritratto fotografico durante il suo apprendistato parigino presso lo Studio del famoso fotografo francese inventore della fotografia, Gaspard-Félix Tournachon più conosciuto con lo pseudonimo Nadar – di cui l’italiano divenne, tornato in Italia, corrispondente nazionale – iniziò una propria attività indipendente a Torino nel 1865 (ma di lui si conoscono alcune foto risalenti già al 1856), e dirigendo inoltre altre proprie succursali a Firenze e a Roma. La presenza effettiva del fotografo nella capitale piemontese si verificò soltanto dal 1874 al 1885 (anno della sua morte). Il proprio Stabilimento Fotografico continuò però con la conduzione del collaboratore Giovanni Alifredi, che chiuse l’esercizio torinese nel 1906. Tra i vari riconoscimenti ufficiali Schemboche ricevette quello, nel 1868, di “fotografo di Sua Maestà il Re d’Italia” (allora Vittorio Emanuele II) “e di Sua Altezza Reale, la duchessa di Genova” (ovvero Elisabetta di Sassonia, madre di Margherita di Savoia, la sposa di Umberto I), in quanto riconosciuto “valente cultore dell’arte fotografica” (avendo quell’anno lavorato ad una importante serie ritrattistica di membri del Parlamento Italiano: tra cui risaltano le note immagini ufficiose di Camillo Benso Conte di Cavour, e dell’eroico generale dei Mille, Giuseppe Garibaldi, nonchè del baffuto monarca italiano)

  FIGURA 154

FIGURA 154 – Questo romanzo di traversata dell’Atlantico, è il solo testo italiano di allora che si interessa al problema sociale dell’emigrazione – condizione diversa, sebbene ugualmente drammatica, da quella caotica e di indecente sfruttamento quasi-schiavistico e clandestino di adesso – fenomeno di spostamento di massa tale da incidere profondamente, tra Ottocento e Novecento, sul destino di sopravvivenza delle popolazioni italiane indigenti, costrette a cercare lavoro all’estero. Nel descrivere il suo viaggio da Genova a Buenos Aires, l’autore illustra, con umana partecipazione, la “tenacia del popolo degli emigranti”, costretti ad abbandonare la terra natale in vista di una ottimistica risoluzione all’estero: condivisa anche fisicamente in nave dal De Amicis, imbarcatosi nel 1884 con 1600 “disperati” per 22 giorni di navigazione

E tra le fotografie di tale genere, e degli stessi anni tra 1889 e 1991 e fino al 1903, si posseggono raffigurazioni del De Amicis pure queste variamente usate dopo essere state effettuate (per cartoline postali o per giornali e pubblicazioni dell’autore) che travisano le date di ripresa originaria: come risulta per il ritratto sempre del 1889 (e di autore sconosciuto: ma magari anche esso dello Schemboche) riportato su carta postale (e rispettivamente spedito – con firma autografa del romanziere –  nel 1906 [Figura 155]; identico al simile esemplare “viaggiato” – come si usava dire allora per la posta spedita e consegnata – inviato nel 1903) [Figura 156]; il cui originale è stato scattato per il frontespizio del racconto Gli Amici uscito proprio nel 1889 [Figura 157].

  FIGURA 155

FIGURE 155-157– Analoga situazione di disguido datario e di attribuzione oggettiva nelle foto ritraenti Edmondo De Amicis in età avanzata, soprattutto derivanti dalle numerose cartoline riproducenti il busto del romanziere e variamente spedite in anni diversi: la versione (dell’archivio fotografico internazionale NRM, ma di autore e data ignoti) mandata nel 1906 [sopra], e quella cosiddetta viaggiata (cioè spedita e consegnata) del 1903, stampata a Terni dalla tipografia Poligrafico di Virgilio Alterocca (pioniere della cartolina a colori in Italia) [sotto, a sinistra]. La cui più precisabile datazione al 1889 è chiaramente riscontrabile nel frontespizio (di incisore anonimo) del romanzo deamicisiano ‘Gli Amici’ edita quell’anno (perché la uscita originaria è stata nel 1883) [sotto, a destra]. Tutto fCG 2023)

  FIGURE 156  e 157  

Ed ugualmente si deve dire della foto di un biennio successivo, del 1891, del Signor Edmondo De Amicis pubblicata sul Numero 2 del 1902 di ‘The Critic’, statunitense “Rivista Mensile Illustrata di Letteratura e Vita” stampata nella periferia newyorkese a New Rochelle, che stavolta è però inequivocabilmente dichiarata essere di “Schenboche” (sebbene col suo cognome erroneamente stampato secondo la trascrizione inglesizzata, ovvero con l’errore tipografico della ‘n’) [Figura 158].

Figura 158 – Foto ritraente il Signor Edmondo De Amicis pubblicata sul Numero 2 del 1902 di ‘The Critic’, “Rivista Mensile Illustrata di Letteratura e Vita” statunitense, stampata a New Rochelle presso New York, e usata in un articolo sugli ‘Scrittori Italiani Odierni’ della letterata italiana Sofia De Fornaro (fCG 2023). La fotografia (da cui è stata tratta la litografia di autore sconosciuto) è opera sempre del fotografo torinese Schemboche), e secondo alcuni esperti filologi risalirebbe al 1891: epoca, questa, della seconda lettera deamicisiana alla Poet, nonché della propensione del narratore verso il Socialismo (di cui tenne, nel 1892 proprio, una conferenza con Osservazioni sulla questione sociale all’Associazione Universitaria Torinese nel capoluogo piemontese) e delle già intense liti famigliari di Edmondo con la moglie Teresa Boassi (per la cui insopportabilità il primogenito Furio si suicidò, pochi anni dopo nel 1898, sparandosi un colpo di pistola alla testa nei Giardini del Valentino a Torino)

Con l’inizio del nuovo secolo (il Novecento), la figura aitante e robusta del letterato comincia a presentarsi meno solida corporeamente, e più smunta; già dalla foto del 1900 realizzata dal fotografo Giovanni Battista Berra di Torino (specializzato in riproduzioni d’arte, essendo egli anche pittore dilettante), riprodotta su ‘L’Illustrazione Italiana’ di quell’anno, nel Numero 7 [Foto 159], che mostra il romanziere nella sua ormai invecchiata condizione di uomo provato e stanco, non soltanto per il lavoro editoriale abbondante e continuo, ma anche dopo le amare vicissitudini personali e famigliari a lui accadute (suicidio del figlio nel 1898 e la contemporanea separazione dalla moglie), che lo avevano spinto perfino a definitivamente cambiare la propria abitazione torinese e trasformare la precedente sua ideologia progressistico-umanitaria con una più identificata adesione al Socialismo di Filippo Turati, nel medesimo anno 1892 della fondazione del Partito Socialista Italiano.

FIGURA 159 – Giovanni Battista Berra, Edmondo De Amicis, senza data. Questa foto, pubblicata nell’anno di inizio del nuovo secolo novecentesco su L’Illustrazione Italiana (dell’anno 1900, al Numero 7: fCG 2023), mostra lo scrittore nella sua ormai invecchiata condizione di uomo affaticato e sfiduciato, non solamente per il lavoro letterario abbondante e incalzante che si ritrovare a smaltire, ma anche dopo le amare vicissitudini personali e famigliari a lui accadute (suicidio del figlio nel 1898 e contemporanea separazione dalla moglie), che lo avevano spinto anche a cambiare drasticamente la propria ideologia progressistico-umanitaria con una più identificata adesione al Socialismo di Filippo Turati, nel medesimo anno 1892 della fondazione del Partito Socialista Italiano

Una fisionomia comunque in certi aspetti ancòra florida, e sempre imponente benchè infiacchita, che resiste fino al 1903, quando – dopo la immagine di fotografo sconosciuto (ma a mio parere anche questa schembocheina) [Figura 160] – l’aspetto di Edmondo appare più indebolito e segnato dalla età, come si percepisce nella foto del 1905  [Figura 161], pure questa di autore ignoto, e anche essa ulteriormente utilizzata nell’anno della sua morte (1908) per la copertina del periodico ‘La Tribuna Illustrata’ (Numero 12) [Figura 162].

FIGURA 160 [SOPRA] – Fotografo Ignoto, Edmondo de Amicis, Romanziere, Italia, senza data; ma del 1903 (fCG 2023). Di fisionomia decisamente più distesa, si mostra l’aspetto del romanziere ligure in questa immagine di repertorio rapportabile alla precedente del 1891 (si veda la Figura 158), dopo il superamento delle sue tristi vicissitudini esistenziali (comunque non scomparse del tutto, ma allentate ormai nei ricordi del tempo e nel fervore della propria attività editoriale)

161 e 162 [SOPRA e SOTTO] – Autore Sconosciuto, Edmondo De Amicis, senza data (ma del 1905): a tre anni dalla morte, il volto dello scrittore è ripreso più invecchiato (soprattutto nella brizzolata capigliatura) e tuttavia in buona salute [sopra]. Motivo per cui questa immagine è stata usata, parzialmente ritoccata, per il suo necrologio da parte del periodico ‘La Tribuna Italiana’ nel 1908 (Numero 12) [sotto]. Entrambe fCG 2023

Negli ultimi 3 anni di vita, con più evidenza si nota nelle foto deamicisiane un declino progressivo, anche di esteriore indebolimento fisico, e soprattutto di un costante dimagrimento: dalle raffigurazioni del 1905 (come quella su cartolina fotografica – di autore sconosciuto – mandata nel 1906 “Al suo illustre e gentile editore siciliano Niccolò Giannotta”, che gli stampò tre libri [Figure 163 e 164] in 9 anni (dal 1900 al 1908) …

  figura 163

FIGURE 163 e 164 [SOPRA e SOTTO] – Cartolina fotografica raffigurante lo scrittore nel 1905, sempre un trienno prima della sua scomparsa, ma con un aspetto più affaticato. E’ una riproduzione postale di una immagine questa volta scattata dal torinese Oreste Bertieri (figlio dell’altrettanto noto fotografo Paolo) attivo a Torino dal 1891 al 1908, spedita da Edmondo stesso nel 1906 a Catania (con dedica autografa) “Al suo illustre e gentile editore siciliano Niccolò Giannotta” [sopra]. Questo importante stampatore di libri siciliano, nel 1898 aperse uno stabilimento tipografico con apparati modernissimi (macchinari mossi a vapore e stampanti celeri tedesche), il cui motto era ‘Onestà e Lavoro’, diventando una delle più famose case editrici italiane, e di immancabile riferimento per la cultura avanzata della Italia del Sud. De Amicis pubblicò per lui Le Tre Capitali – Torino, Firenze, Roma nel 1898, e poi – nel 1900 – Speranze e glorie. Discorsi; ed infine, ancòra nell’anno di morte dello scrittore, Ricordi d’un viaggio in Sicilia del 1908 (ultimo libro, tra l’altro, del romanziere ligure) [sotto]. Entrambe fCG 2023)

… fino all’altra del medesimo anno – Ritratto di Edmondo De Amicis – in una posa parimenti seduta eseguita da Oreste Bertieri, a sua volta pubblicata sul Numero 11 del 1908 della rivista ‘L’Illustrazione Italiana’) [Figure 165-166], che ormai lo mostrano sempre assiso al tavolino-scrivania nel proprio studiolo, in pose statiche di convenzione.

FIGURE 165 e 166 [SOPRA e SOTTO] – Altra simile immagine deamicisiana del Bertieri con il romanziere in posa nel suo studio nel 1905 (Ritratto di Edmondo De Amicis, Scrittore Italiano) [sopra], ed il suo utilizzo per ‘L’Illustrazione Italiana’ (1908, Numero 11) [sotto]. Entrambe fCG 2023

Immagini che giungono alle ultime rappresentazioni ancòra a mezzo busto del 1906 (del Berra di questo anno, successivamente riprodotto per cartolina dalla ditta Radium Fotografia di Reggio Emilia due anni dopo nel 1908) [Figure 167 e 168].

  FIGURA 167

FIGURE 167 e 168 – Nell’anno del suo decesso, questa foto di Edmondo De Amicis del 1908 (del fotografo torinese Berra) ritrova nell’aspetto esteriore del romanziere, anziano ed attempato, una rinnovata ripresa fisica, ma con un evidente assottigliamento dei lineamenti del viso [sopra]. La stessa immagine è stata poi riprodotta anche questa in cartolina, con firma stampata dello scrittore (di cui riporto un esemplare eseguito dalla Radium Fotografia di Reggio Emilia) [sotto]

  FIGURA 168

Nelle quali rappresentazioni oggettive, il volto del romanziere si ritrova più assottigliato, con una fulgida testa bianca scapigliata ma in una fisionomia anziana – eppure con lo sguardo fiero – che lo caratterizzerà in questo modo fino alla sua scomparsa terrena.

E per concludere dunque questa escursione iconografica deamicisiana con degno riporto finale, ho scelto le due rare immagini dello scrittore ligure scattate proprio nell’anno del suo decesso, nel 1908: la prima, ripresa da vivo (che è stata anche L’ultimo ritratto – di fotografo ignoto – a lui effettuato prima di morire) e l’altra da morto (nella sua bara, al proprio funerale tenuto a Bordighera, dove si era recato per una temporanea vacanza di riposo) [Figure 169 e 170].

  figura 169

FIGURE 169 e 170 – Le due ultime immagini deamicisiane, entrambe del 1908, e di fotografi sconosciuti: in vita (nel suo studio-libreria a Torino) [sopra], e da morto (nella bara per i funerali tenuti a Bordighera, cittadina dove si era temporaneamente recato per una vacanza salutare) [sotto]. Entrambe fCG 2023

Dalla prima delle quali non può però sfuggire l’estraneo sguardo rivolto altrove, e non più diretto in avanti, o verso la macchina fotografica, come nelle immagini precedenti.

CONCLUSIONE

Credo che dopo tutta questa analisi, di eterogenea argomentazione ed erratica itineranza storica che ha comportato la vicenda epistolare tra Edmondo De Amicis e Lidia Poet in una esigua ma ugualmente importante corrispondenza di vario contenuto, nella quale si possono osservare bagliori insoliti – per un romanziere di fama mondiale, che si pensa intento solamente ai suoi problemi cultural-professionali – di vita quotidiana e di conduzione esistenziale di tutta normalità personale, non resta che concludere restando all’evento finale della definitiva scomparsa terrena del grande scrittore ligure: che è stato sùbito ricordato da molteplici commemorazioni  pubbliche (targhe, statue, e monumenti) con ampia riconoscenza ed anche con esternata commozione, particolarmente nella sua Pinerolo [Figure 171 (e 69/70-72)].

  FIGURA 171

FIGURA 171 – Il ritratto plastico nel profilo a rilievo del volto di Edmondo De Amicis eseguito sul basamento del monumento a lui dedicato dalla Città di Torino, opera dello scultore torinese Edoardo Rubino compiuta nel 1910-14 in tutte le sue parti architettonica e statuaria, ed eretto nel 1923 (foto di Giuseppe Calafa del 2011)

Ma a me piace finire di ricordare questo eccezionale personaggio nello stesso modo in cui lo scrittore stesso ha voluto concludere (nell’ultimo capitolo) il proprio romanzo pinerolese più considerato ed avvincente: in quella realtà di narrazione (storica, ma anche di diretta verità ed esperienza) che si riscontra nelle sue parole scritte, mentre l’autore si perdeva nelle proprie osservazioni soggettive (ed anche abbandonandosi alle fantasticherie eroiche di quanto il suo libro gli suscitava) lavorando sul manoscritto pinerolese per il testo di Alle Porte d’Italia nella tranquilla Villa ‘La Favorita’ a Pinerolo.

E tutto ciò, guardando dall’alto del pluri-citato Bastione di Malicy – dal quale il nostro narratore seguiva, non visto, sul balconcino superiore del falso castellotto medievale neo-gotico, i discorsi e il chiacchierìo dei passanti o si abbandonava alla ricognizione, sulle nubi del cielo serale, delle glorie passate in quelle terre epiche di conquista e battaglie [Figura 172]

FIGURA 172 [SOPRA] – La visione epica fantasticata dal De Amicis nel cielo pinerolese durante la sua stesura del libro Alle Porte d’Italia, in un disegno di Amato con cui viene conclusa la serie delle sue illustrazioni per la edizione di quel libro del 1892 (fCg 2023)

– vagando mentalmente per quell’ameno ed isolato luogo di decentramento alpino, dove la natura ha sempre manifestato la propria superiore, e sublime, bellezza, al cospetto della maestosità dei suoi monti eterni e delle sparse vegetazioni boschive (quelle antiche pinete che diedero il nome alla cittadina pinerolese).

In un luogo di concreta ed effettiva immersione degli uomini nel contesto del loro spazio ambientale, entro quella sognata unità  antropologica incantata che nelle metropoli industriali stava già lentamente scomparendo [Figura 173 e 174].

FIGURE 173 e 174 [SOPRA e SOTTO] – La situazione attuale della visione verso la piana e le Alpi dalla scarpata del vecchio (parzialmente demolito) Bastione Malicy a Pinerolo, da dove il De Amicis osservava il paesaggio dall’alto della Villa ‘La Graziosa’ [sopra]: nel suo ampio panorama naturalistico (ma trasformato dall’uomo nei secoli) disteso sulla pianura pinerolese, proseguente verso le alture delle Alpi Cozie e della catena montana attigua [sotto] (fCG 2023)

Ma che si era già deteriorata, dalla Preistoria (e forse anche prima quando le scimmie erano diventate ominidi) nel fatalistico peccato originale della umanità distaccatasi progressivamente, ed irrimediabilmente, dal proprio inserimento nell’ambito naturale terrestre, originariamente accettato, e pariteticamente, con gli altri esseri viventi, nell’insieme ecologistico delle presenze viventi e della materia inerte a disposizione sulla Terra.

Corrado Gavinelli

Torre Pellice, Febbraio-Aprile e Maggio-Giugno 2023

 

Corrado Gavinelli nella Biblioteca Comunale Alliaudi a Pinerolo con in mano il libro aperto (sul frontespizio) di un esemplare originale del 1884 del libro di Edmondo De Amicis Alle Porte d’Italia (foto di Cesare Fornero del 2023)

BIOGRAFIA – ITINERARIO  PROFESSIONALE – Sintesi Generale

Corrado Gavinelli è nato a Gattinara (Vercelli) nel 1943, e si è laureato in Architettura presso il Politecnico di Milano nel 1970 (con Aldo Rossi quale relatore di tesi).

Nella Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano è stato chiamato a svolgere il ruolo di Assistente Incaricato dal Professore Paolo Portoghesi per l’insegnamento di Storia e Stili dell’Architettura dal 1970 al 1975, diventando quindi in séguito (dallo stesso 1975) titolare Professore di Storia dell’Architettura.

E’ divenuto poi Professore Associato, per il medesimo insegnamento, nel 1984, e dall’anno successivo (1985) ha ricevuto anche l’incarico di Supplenza per il Corso di Storia dell’Architettura Contemporanea, di cui è stato titolare come Professore Associato dal 1998 al 2010 (quando si è ritirato in pensione).

Dal 1985, sempre alla Facoltà di Architettura milanese, è Direttore del Laboratorio Sperimentale di Modellazione Storica (LabSpeModSto o LSMS), che opera autonomamente nella ricerca e la rappresentazione piana e tridimensionale (tradizionale e al Cad) per la realizzazione reale o virtuale di plastici architettonici e urbanistici (tramite disegni di elaborazione preliminare), collaborando inoltre con altre analoghe istituzioni universitarie ed enti pubblici (e specialmente, dal 1996 al 2005, con il Laboratorio Uzawa della Facoltà di Arte e Architettura di Tsukuba).

Nel 1996 è stato chiamato come Professore Temporaneo (Visiting Professor) incaricato alla Facoltà di Arte e Progettazione dell’Università di Tsukuba in Giappone, diventandone poi (dal 2000) Professore Straniero (Gaikokujin Kyoshi).

Nel 1997 è stato Lettore al CERN di Ginevra, in Svizzera.

Sempre in Giappone, nel 2005 viene ulteriormente chiamato quale Professore Temporaneo (Visiting Professor) anche alla Scuola delle Arti di Sapporo.

Tra il 1975 ed il 1989 ha insegnato Storia della Comunicazione Visiva all’Istituto Superiore per le Industrie Artistiche (ISIA) di Urbino; in vari periodi non continuativi, dal 1980 al 1989, ha tenuto seminari didattici nella sede del CNIPA (Centro Nazionale Istruzione Professionale Artigiana) di Ancona (divenuto nel 1978 Scuola Sperimentale di Design), e dal 1999 al 2001 ha condotto il Corso di Storia del Design al COSMOB (Consorzio del Mobile) pesarese.

Nel 1985 ha ricevuto un riconoscimento ufficiale, per il proprio lavoro storiografico-critico nella ricerca architettonica, all’UIA (Unione Internazionale degli Architetti) di Sofia in Bulgaria; e nel 2000 gli è stata assegnata una targa di attestazione operativa, per la ricerca fotografica svolta nel LSMS, dal CRUSM dell’Università Statale di Milano.

E’ stato Redattore delle Riviste “ArteLavoro” e “Disegno”; e Responsabile delle Rubriche Agorà per le Riviste “Recupero & Conservazione”, Architettura per “OFX”, ed Edifici Terziari nel Mondo per “Habitat Ufficio”.

E’ stato anche Conduttore delle Rubriche di Architettura (per le Riviste “OFarch” e “Luce”) ed Esempi di Attualità (per “Nuova Finestra” e “Vetro”); e ancòra collabora continuativamente con la Rivista Telematica “Frontiere”.

Inoltre è stato Direttore delle Collane editoriali di Storia dell’Architettura Moderna e Contemporanea per la Casa Editrice Alinea di Firenze, Progetti di Architettura Contemporanea per le Edizioni Jaca Book di Milano, Enciclopedia di Architettura del Novecento per l’Editore Di Baio di Milano.

Si è occupato – e prosegue in tale attività – di Storia e Critica dell’Architettura, del Design, dell’Arte e della Comunicazione Visiva; e su tali argomenti ha pubblicato diversi libri ed opuscoli, tra cui “Renato Guttuso” (1974); “Novara e Antonelli” (1975); “Textures” (1976); “Città e Territorio in Cina” (1976, tradotto in spagnolo nel 1979); “Il Centro Storico di Oleggio” (1977); “Walter Gropius” (1979); “Piemonte e Valle d’Aosta” (1981); “De Stijl 1917-1931” (1982); “Costruire Oggi” (1984); “Il Santuario antonelliano di Boca” (1988); “Sant’Elia ri-costruito” (1989); “Ai Piedi dei Grattacieli” (1992); “Storie di Modelli esibitivi e critici” (1993); “Architettura Contemporanea dal 1943 agli Anni Novanta” (1995, tradotto in tedesco nel 1997 ed in spagnolo nel 1999); “Milano. Professional Guide” (1998, stampato in giapponese); “La nostra Università” (1999), “L’Architettura di Leonardo Ricci. Agàpe e Riesi” (2001), “Il Villaggio Monte degli Ulivi a Riesi di Leonardo Ricci” (2001), “Paolo Soleri. Itinerario di Architettura” (2003), “My Impressions on Seike” (2005), “Ar-Chi-Tec-Tu-Ra (2009), “Luoghi della Pace” (2010).

Ha curato inoltre l’argomento sul Post-Moderno nella “Enciclopedia di Architettura del XX Secolo” pubblicata dalla Jaca Book del 1993; le voci sull’Estetica e le Arti nella Cultura del Protestantesimo per la Enciclopedia delle Religioni (“Dizionario Iconografico di Arte Cristiana”) delle Edizioni San Paolo del 2004; ed il settore ‘Italia’ per l’Antologia Mondiale degli Architetti Contemporanei (“581 Architects in the World”) edita dalla Toto di Tokyo nel 1995 (in giapponese).

Ha scritto inoltre vari e numerosi saggi sulle tematiche di sua competenza, collaborando con le più note riviste specializzate nei settori specifici: ArteLavoro, ArteContro, Casabella, Controspazio, Modo, Ottagono, Domus, Lineagrafica, LIPE, Novara, Recuperare, Design, L’Umana Avventura, Disegno, Costruire, Flare, Chiesa Oggi (di cui è membro del Comitato Scientifico), Costruire in Laterizio, L’Arca, Recupero & Conservazione (tenendo la rubrica Agorà), OFX (sulla quale ha condotto la rubrica Architettura), Intermezzo (di cui ha trattato l’argomento di Fotografia), Habitat Ufficio (dove ha sviluppato il tema degli Edifici Terziari nel Mondo), Nuova Finestra (nella quale si è occupato della Attualità Architettonica), Brutus-Casa (in giapponese), Vetro (di cui ha affrontato gli aspetti della modernità e contemporaneità), Geijutsukenkiyuhou-sakuhinsyu (annuario universitario nipponico), Jeijutsukenkiyuhou (periodico universitario giapponese), Classic Living, CasaD, OFarch (di cui è stato curatore degli argomenti di architettura, urbanistica, e design), Luce, Thema, e Frontiere (rivista telematica della quale è autore – ancòra attivo – per le tematiche di storia, architettura, arte, e iconografia).

Nell’àmbito territoriale del Pinerolese ha scritto per riviste e giornali locali, quali il ‘Bollettino della Società Storica Pinerolese, il settimanale ‘L’Eco del Chisone, il periodico ‘Vita Diocesana Pinerolese’ (rubrica di argomenti storici); ed attualmente collabora con i periodici telematici ‘Pinerolo in Dialogo’, e ‘Savej’ (organo di conservazione della identità linguistica e della cultura piemontesi).

Ha organizzato e curato (personalmente, o collaborando e partecipando agli allestimenti) numerose Rassegne Espositive, tra le quali si ricordano le Mostre: Novara e Antonelli, Il Centro Storico di Oleggio, Gropius, De Stijl, Il Manifesto Cinese, La Carta Ritagliata, Le Corbusier, Tendenze Attuali nel Design, Il Santuario antonelliano a Boca, Sant’Elia ri-costruito, Modelli di Architettura, Ai Piedi dei Grattacieli, L’Eufrate e il Tempo, Archaeology of the Future City (in Giappone), Il Bene e il Bello, Cantico 2000 (Arte e Ambiente), Pietro e Paolo (architetture delle origini cristiane a Roma), Spazio Ritrovato (ricostruzioni al Cad di architetture soltanto progettate), Modellazione Architettonica Tridimensionale, L’Architetto Kiyoshi Seike (in Giappone), Bramante e la sua Cerchia.

Ha tenuto molte conferenze (e partecipato a diversi Congressi e Convegni) in Italia e all’estero (soprattutto in Francia, Inghilterra, Canada, Messico, Egitto, Belgio, Germania, Senegal, Cina Popolare, Bulgaria, URSS, USA, Giappone, Svizzera, SudAfrica) sugli argomenti delle proprie ricerche storiografiche e su altre tematiche storiche ed attuali.

Ha esposto (autonomamente, o nel Gruppo Sincron di Brescia diretto da Bruno Munari), con opere personali, in differenti Mostre di Arte Contemporanea (particolarmente con attiva assiduità operativa dal 1968 al 1975), e in altre saltuarie manifestazioni di estetica visiva e di architettura, nonchè di Fotografia, anche fuori d’Italia.

Ha elaborato (con Mirella Loik) diversi progetti edilizi dei quali le più importanti realizzazioni sono state la Tomba Jon-Scotta a Piedicavallo nel 1987-88, la sistemazione complessiva del Museo Antonelliano a Boca Novarese nel 1988, l’arredo interno della Casa Daijobu a Torre Pellice nel 2001-03, e la Casa Ubuntu a Ndengane nel 2005-07 (prototipo autocostruibile di edilizia sostenibile sudafricana).

Ha contribuito, come Consulente Storico e Collaboratore Propositivo, a diversi progetti di intervento architettonico ed urbanistico per Concorso, i cui principali risultati vincitori sono stati la Sede Piemontese del Parco del Ticino a Cameri (con gli Studi di Architettura Colbertado e Castelli) nel 1991 (realizzata parzialmente nel 1963); la Risistemazione della Piazza Santa Anna a Bergamo (con lo Studio di Ingegneria Russo) nel 1997-2000 (non eseguita); e La Fabbrica Moretti a Piandimeleto (con Mirella Loik e lo Studio Tartaglia) nel 2007 (non costruita).

Sempre nel contesto culturale pinerolese ha partecipato – quale collaboratore – alla Società Storica di Pinerolo, al CeSMAP (Centro Studi e Museo d’Arte Preistorica), ed alla associazione locale di Italia Nostra

 

 

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