di Leonardo Servadio

Si trascina il dibattito secondo le linee emerse con l’ondata dei cambiamenti politici in Europa: sovranismo contro globalismo. Un po’ la riproposizione della contrapposizione “destra contro sinistra” in cui la crisi delle ondate di migranti gioca un ruolo di fondamentale esca che  dà fuoco alle polveri dell’emozione popolare. Sullo sfondo continua ad aleggiare il fantasma della crisi economica emersa nel 2007 col collasso del sistema dei crediti “subprime”, resa più pesante dal crollo della Lehman Brothers l’anno successivo e dalle ripercussioni generate ovunque nel mondo finanziario, che per sua natura è da sempre globale.

Il fenomeno del populismo, con i nuovi leader emergenti (Trump, Salvini, ecc.) e i nuovi assetti politico strategici (Brexit, Unione Europea traballante, il potere crescente  della Cina, ecc.) sconvolgono una situazione che sembrava consolidatasi dal secondo dopoguerra, e sono visti con allarme dal cosmopolitismo nel quale si riconoscono le tendenze politiche sinora dominanti nel mondo occidentale.

C’è però una novità che reclama che si vada oltre queste logiche radicate nell’abitudine. Consiste nel fatto che le rivolte, ovunque si manifestino, hanno come obiettivo la corruzione. Il tentativo di rifiutare la corruzione come strumento di acquisizione e gestione del potere pubblico sembra oggi il principale motore di ogni tentativo di cambiare l’assetto di potere esistente. Il fenomeno trascende le ideologie e i confini nazionali e mostra che i tempi sono maturi perché a livello globale si risponda al problema con appositi provvedimenti.

Che cos’è la corruzione?

Ma che cos’è esattamente corruzione? All’epoca di Mani Pulite, in Italia il concetto pareva ben chiaro: politici che sollecitano e accettano denari da imprenditori e dirigenti in cambio di favori dispensati alle aziende. Il sistema che si può considerare “classico” del finanziamento delle forze politiche.

Ma a guardare oggi al fenomeno quando, pur nel mezzo della crisi, com’è noto l’uno percento dei ricchi non solo è divenuto più ricco di prima, ma ha accumulato più del cinquanta percento della ricchezza mondiale e continua ad accumulare profitti[1] mentre la restante parte della popolazione in proporzione accumula perdite, si nota che la corruzione è un fenomeno più vasto e complesso del semplice sistema casereccio delle bustarelle.

Anzi, si scopre che crisi economica, crisi dei migranti e corruzione sono un tutt’uno. E che in realtà il fenomeno corruzione è proprio quello che riunisce tutti gli aspetti degenerativi del vivere sociale. Così nei singoli paesi, come nei rapporti internazionali e sulla scena globale.

Ed è sullo sfondo di tale situazione che si può considerare il fenomeno Trump che, per quanto visto da molti come espressione della rivolta anti establishment, in realtà potrebbe rivelarsi l’espressione più pura del sistema corruttivo radicato e cresciuto a dismisura nel mondo, a partire da quel che negli ultimi decenni è stato l’elemento guida, gli Stati Uniti d’America.

In Europa i nuovi movimenti politici anti sistema attribuiscono la corruzione all’establishment di Bruxelles. E chi afferma questo ne ha ben donde: il sistema euro è divenuto un meccanismo oppressivo per molti.

A differenza dei movimenti che si sono agitati sul proscenio della storia sinora, il tema della corruzione ha bensì un carattere pubblico, ma è anche intimamente legato con la coscienza di ogni singolo individuo. Infatti la corruzione è trasversale a sistemi politici, ideologie, religioni, stati. E coinvolge i singoli individui a prescindere dal grado di potere di cui essi sono detentori.

Per questo si può dire che sia un elemento di fondo dell’assetto sociale, in qualsiasi forma esso si manifesti. Perché una società funzioni bene, è necessario che le persone collaborino tra loro. E per collaborare bisogna che si fidino degli altri, o quanto meno che vi sia un quadro di riferimento giuridico funzionante che garantisca i diritti di ciascuno.

Il paradigma della società ben funzionante è reso plasticamente dall’affresco “Allegoria ed effetti del Buono e del Cattivo Governo” dipinto da Ambrogio Lorenzetti nel palazzo pubblico di Siena (1338-39). Nella parte relativa al buon governo le attività si svolgono tranquillamente e in via cooperativa. Nella parte relativa al cattivo governo prende piede il sospetto, la rapina, la violenza, la ruberia, la paura. L’opera del Lorenzetti resterà come paradigma di come una società può operare bene o male a seconda che vi sia o no fiducia e collaborazione.

Significativo al riguardo è anche che il Monte dei Paschi di Siena (MPS), la più antica banca operate nel mondo, fu fondata proprio a Siena nel 1472, un secolo dopo l’opera pittorica, allo scopo di aiutare le famiglie disagiate. La banca è infatti uno strumento che ha la capacità di promuovere le forze sociali e favorire il lavoro e l’impresa. Ma proprio MPS, nei primi anni duemila, a seguito di spericolate azioni condotte con titoli derivati ad alto rischio si è trovata in condizioni estremamente precarie che hanno richiesto un pesante intervento statale e il ritorno nell’alveo della proprietà statale, per salvarsi dai marosi del mercato. MPS, come del resto ogni istituto bancario, può favorire (ed essere favorita da) il “buon governo” quanto il “cattivo governo”.

Che la faccenda riguardi tutti e non solo i detentori del potere politico o economico, è dimostrato da un’infinità di fatti. Citiamo solo questo: 23 agosto 2018, L’unione sarda.it presenta un filmato sotto il titolo “Metro di Napoli: uno fa il biglietto, decine di scrocconi entrano gratis”. Certo, è banale: si vedono persone accalcarsi alle spalle di chi supera i tornelli col biglietto, così da entrare senza pagare sulla coda del primo. La cultura della corruzione è diffusa. Va contrastata a livello di leadership, perché da questa derivano gli esempi che influiscono sulla condotta delle persone. Sussiste un circuito a retroazione positiva che favorisce la corruzione a tutti i livelli.

E lo si vede in tutti i paesi. Malgrado la vulgata secondo cui i paesi nordici sono meno inclini alla corruzione di quelli meridionali, si constata come la corruzione domini ovunque. A mo’ d’esempio: nei primi anni 2000 un grosso scandalo ha colpito la Siemens, una delle maggiori società tedesche: emerse che usava dare bustarelle per ottenere commissioni. Nel 2008 Siemens ha accordato con diverse autorità europee e americane una compensazione di 1,6 miliardi di dollari per superare le indagini di cui era stato fatta oggetto a seguito dell’uso di quel che chiamava “denaro utile”, ovvero la corruzione sistematica[2].

 

Corruzione come strategia

Dopo il crollo del Muro di Berlino e il collasso dei regimi socialisti nell’Est Europa, i servizi di intelligence statunitensi hanno riformulato la loro azione. Se in precedenza una parte preponderante di questa era assorbita dall’impegno nella guerra fredda, dopo il 1991 impegno precipuo sarebbe stato di sostenere le società (corporation) statunitensi e le loro imprese economiche nel mondo. Ecco che lo spionaggio, agito sia con i sistemi tradizionali, sia con le nuove tecnologie, sarebbe stato indirizzato a favorire il potere economico a stelle e strisce.

In tale ambito nel 2013 emerse lo scandalo del NSC (National security council) che spiava le conversazioni di cittadini e leader di paesi alleati – si dà per scontato che lo spionaggio avvenisse anche verso paesi non alleati, ovviamente[3]. Si potrebbe ritenere che tale attività non sia inquadrabile entro la categoria delle attività corruttive. Ma se insider trading è corruzione, come definire lo spionaggio compiuto verso governi amici?

Per quanto l’esistenza dello spionaggio statunitense verso gli alleati, e verso i propri cittadini, fosse noto anche prima, il caso è riemerso con particolare forza dopo le denunce compiute da Edward Snowden, analista che operò per diverse agenzie di sicurezza statunitensi. Snowden espatriò nel maggio 2013 dopo aver raccolto una messe di dati che dimostrano le azioni illegali di spionaggio compiute alle agenzie statunitensi e dopo varie peripezie si rifugiò in Russia.

Sostenuto dalla Russia in funzione anti americana, Snowden in un’intervista al quotidiano tedesco  Süddeutsche Zeitung il 29 giugno 2018 denunciò come la situazione russa in fondo, quanto a corruzione non sia migliore di quella americana: la corruzione in Russia è diffusa ed è parte integrante “del regime di Putin”[4] .

Per quanto sia entrata a far parte del dibattito politico e sia usata come arma a doppio taglio, la corruzione è anzitutto un fatto di coscienza. E con le questioni di coscienza operano le religioni, prima degli stati. E tra le religioni quella cristiana cattolica, la più diffusa nel mondo, dovrebbe essere esempio specchiato. Eppure anche nelle maglie delle sue strutture burocratiche si annida la corruzione. Tra i tanti casi di carattere corruttivo che sono emersi (e ovviamente sono stati sfruttati dalla propaganda anticattolica) nel corso degli anni, forse il più clamoroso riguarda Theodore McCarrick, che fu arcivescovo di Washington ed è stato accusato di aver insidiato sessualmente oltre un migliaio di seminaristi, anche minorenni. In questo caso non si tratta di corruzione di carattere economico o politico, ma di fatti di carattere eminentemente morale. Particolarmente sconvolgente, poiché nel vangelo sta scritto “Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare” (Mc 9, 42): parole di fuoco che dovrebbero portare chi si riveste di responsabilità nell’ambito della Chiesa a una condotta esemplare. Che vi siano casi in cui questo non avviene testimonia della fallibilità umana. Ma non può bastare constatarla.

La corruzione fa parte di ogni sistema politico. La questione è che oggi essa emerge ovunque come problema. Di per sé questo è un grosso passo avanti. Al di là delle ideologie e delle contrapposizioni politiche, si pone il problema se sia possibile contrastarla e ottenere così sistemi sociali che meglio si approssimino all’immagine del “buon governo” dipinto da Lorenzetti a Siena.

 

Il sistema “euro”

Nacque come tentativo per contenere la Germania[5] , ma a seguito del vigore tecnologico e produttivo di questa, l’euro è divenuto lo strumento con cui proprio la finanza tedesca è giunta a dominare il continente.

I paesi del sud Europa hanno una bilancia commerciale sfavorevole verso la Germania. La cui forte industria si basa anche su un sistema bancario compatto e strutturato, che è parte delle istituzioni di governo (il cosiddetto “capitalismo renano” consociativo e pertanto fortemente nazionalista e vincolato e vincolante per la politica nazionale). Questo determina una situazione per la quale la Germania, col suo sistema economico, è riuscita a primeggiare in Europa usando proprio quella moneta, l’euro, che doveva servire per contenerne l’influsso politico.

Ha rafforzato la fama che praticamente da sempre l’accompagna, di paese rigoroso e ben amministrato a differenza in particolare dei paesi del sud, proclivi alla corruzione.

Ha fortemente accresciuto la capacità di esportare. Così che la forza economica che da questo deriva comunica al mondo una percezione di sicurezza, a differenza di quel che si percepisce in particolare nei paesi accomunati non senza un tono di scherno nell’acronimo PIGS (Portogallo Italia Grecia Spagna).

Grazie a tale posizione di privilegio, la Germania è in grado di dettare legge sul piano dei rendimenti dei titoli di stato: perché tanto più uno stato è percepito come incapace, tanto più deve rendere appetibili i propri titoli di debito attribuendo loro rendimenti elevati. Ma in questo modo esso aumenta il proprio debito pubblico, che a sua volta è un criterio per giudicare deficitaria, mal funzionante e pericolante la sua economia. Non solo, la situazione interna dei PIGS porta a giustificare la continua richiesta di austerità: aumento delle tasse, riduzione delle spese pubbliche (per la scuola, la sanità, ecc.) così deprimendo l’economia del paese colpito e favorendo la fuga di capitali e di imprese dallo stesso: fenomeni che a loro volta incidono negativamente sul complesso dell’economia in questione[6].

Certo non è la Germania la causa di tale situazione di relativa difficoltà delle economie PIGS, essa non fa che agire per il meglio secondo i propri interessi: starebbe agli altri paesi di comportarsi in modo adeguato. Ma qui entra il gioco il meccanismo del “libero mercato”, che in realtà di libero non ha nulla se non il nome.

Nelle condizioni in cui la moneta unica toglie la possibilità in precedenza esistente di praticare le svalutazioni competitive, la burocrazia di Bruxelles (con Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale)  impone le sue condizioni di rigore che si traducono in austerità crescente (perdita di capacità produttiva e riduzione della ricchezza nazionale) in diversi paesi: così è stato e continua a essere in Grecia che nel 2015 è stata presa di mira a fronte del tentativo allora attivato dal governo di Tsipras e Varoufakis di uscire dalla schiavitù del continuo rifinanziamento (riciclaggio) del debito pubblico. La tipica situazione generata dalla corruzione, che a sua volta viene alimentata dalle misure che sono presentate come atte a contrastarne gli effetti ma in realtà li accentuano.

Come ha dimostrato Yanis Varoufakis nel suo dettagliato resoconto della crisi greca nell’anno in cui fu al governo , il 2015 (v. nota 6), le istituzioni finanziarie internazionali fecero orecchie da mercante alle proposte di operare per ridurre la corruzione interna greca, salvo proporre che per combatterla il paese fosse invaso da un esercito di burocrati stranieri (come dire, salvo proporre che la Grecia perdesse la propria sovranità politica), mentre nel frattempo favorivano che al potere, nelle istituzioni bancarie e finanziarie greche, restassero o tornassero i personaggi più corrotti, che erano proprio quelli più intimamente legati proprio alla burocrazia finanziaria europea.

Perché questo? Perché gli uni e gli altri (i corrotti all’interno del paese e le burocrazie finanziarie) agiscono secondo la logica del “libero mercato”, inteso come l’ideologia del massimizzare i profitti a breve termine prescindendo dal tipo di investimento praticato e delle sue conseguenze a medio e lungo termine. Qualcosa che risulta incompatibile con gli investimenti nell’economia produttiva che per sua natura richiede opere di lungo termine con ritorni relativamente modesti.

La Grecia fu presa di mira per farne un esempio per gli altri paesi deboli: provate a ribellarvi alla logica nella quale vi siete da soli imprigionati e sarete castigati con livelli disastrosi di austerità.

 

Il caso italiano

In Italia la situazione non è molto dissimile a quella della Grecia. Lo snodo cruciale è stato il 1991-92. Con la crisi dell’assetto post seconda guerra mondiale è sembrato che tutto il sistema politico fosse corrotto e pertanto dovesse essere sostituito, e con esso che l’industria statale, allora forte, dovesse essere privatizzata (privatizzare, insieme con la politica del “rigore” ovvero dell’austerità e del taglio dei servizi sociali e delle pensioni, è da sempre il verbo che propagandano le istituzioni finanziarie internazionali come autentica espressione del “libero mercato” contrapposto allo statalismo, accusato di essere ricettacolo di ogni tendenza corruttiva e degenerativa).

Nel ’91-’92 cominciò, anche a seguito dell’ondata speculativa contro la lira, la grande ondata di privatizzazione di quella che era l’industria pubblica. Ma questo non solo non ha generato un particolare introito per lo stato centrale, il cui livello di indebitamento ha continuato a crescere, ma ha indebolito tutto il tessuto industriale nazionale rendendolo sempre meno capace di resistere alle pressioni competitive delle industrie estere.

Tutto questo è avvenuto senza che l’opinione pubblica percepisse l’esistenza di attività corruttive nella politica delle privatizzazioni: la corruzione a livello di opinione è sempre percepita come a carico esclusivo delle autorità di governo: un tempo era la DC, poi il pentapartito, quindi Berlusconi, infine Renzi.

E poiché non si cambia il sistema, fondato sulla corruzione globale che domina il “libero mercato”, ma solo i personaggi che operano nel sistema, i governi cambiano ma la corruzione resta. E si traduce nel fatto che il paese resta indebolito e pertanto più facile preda della corruzione globale: significativo che mentre l’Italia, come tutti o quasi gli altri paesi sprofondavano nella crisi, gli alti burocrati dello stato e i Chief Executive Officer delle aziende vedevano aumentati i loro emolumenti, mentre allo stesso tempo l’industria italiana riduceva le capacità produttive o fuggiva all’estero perché oppressa da un sistema fiscale sempre più rapace e un sistema sindacale che non riesce a partecipare alla gestione dell’interesse pubblico (a differenza di quel che avviene in Germania), per favorire (seguendo a suo modo gli stessi principi della concorrenza a tutto campo dominante nel “libero mercato”) solo l’interesse dei propri rappresentati.

Dunque, dalla burocrazia europea (ministri delle finanze dei paesi europei e Banca Centrale Europea) e dalla finanza globale (Fondo Monetario Internazionale) vengono proposte politiche di austerità che comprimono le capacità produttive in tal modo riducendo i ritorni fiscali e favorendo fuga di capitali e di attività produttive, mentre vengono promossi i personaggi che a livello nazionale sono più legati alla finanza internazionale. Salvo poi ricorrere allo stato per ripianare i buchi che si generano nei sistemi bancari nel momento in cui le forsennate attività speculative si traducono in crisi e fallimenti: dal punto di vista del grande capitale finanziario speculativo (che è la versione contemporanea dell’attività piratesca) lo stato ha una funzione di vassallo.

È questo ampio complesso perverso che è l’essenza della corruzione: non una porzione di esso, ma il suo insieme. Non il semplice aumento degli emolumenti alle alte cariche dello stato, non l’aumento delle tasse in sé, non l’aumento della fuga di capitali che singoli privati portano a Montecarlo, in Lussemburgo o alle Cayman island, non il ricorso allo stato quando il sistema bancario è in sofferenza. È l’insieme della circuitazione degli interessi che si inseguono alla ricerca di vantaggi a breve termine rifiutando la prospettiva di investimenti a lungo termine per vantaggi futuri non limitati alle proprie tasche, ma estesi al benessere del paese nel suo complesso, che è il vero fattore corruttivo.

 

Il caso spagnolo

In Spagna la situazione non è di molto differente da quella italiana: forse l’unica differenza è che  qui le forze indipendentiste, in particolare catalane, pur essendo state nel recente passato corrotte predatrici dell’economia reale tramite forme di tassazioni aggiunte quali tangenti coatte (clamoroso è il caso dell’ex presidente della Generalitat, il governo locale catalano, Jord Pujol che ha intascato privatamente miliardi di euro portati nelle banche di Andorra – altro mercato off-shore –  e di qui chissà dove)[7], sono favorite da un’ampia percentuale della popolazione, quasi la metà dei votanti. Se la Catalogna riuscisse veramente a ottenere l’indipendenza sarebbe un poco come se la Sicilia venisse separata dall’Italia per formare un governo autonomo controllato dalla mafia (com’è noto già nel secondo dopoguerra ci fu il tentativo di separare la Sicilia dall’Italia: allora era fresco il ricordo di come le truppe Alleate vi sbarcarono anche grazie al sostegno degli apparati mafiosi, che peraltro erano ben diversi da quelli attuali: all’epoca la mafia operava in situ taglieggiando i negozianti, oggi le tante mafie operano sul piano globale col traffico di stupefacenti e di esseri umani)[8].

 

Il problema dei migranti

Il che apre il discorso su un altro aspetto che molto colpisce l’opinione pubblica europea portandola a rifiutare i partiti politici tradizionali. Noto al riguardo è il caso della cancelliera tedesca Angela Merkel che nel 2015 accettò che circa un milione di migranti in fuga in particolare (il 40 percento circa) dalla Siria entrasse in Germania.

Le ondate migratorie sono ritenuto uno dei fattori che hanno favorito Brexit e le difficoltà di molti governi europei[9].

Il punto è che i migranti sono i nuovi schiavi del XXI secolo. Seguono le stesse rotte che seguivano gli schiavi tratti dai paesi africani dal medioevo in poi e trascinati in Europa e nelle Americhe da mercanti specializzati. Oggi i migranti provenienti dall’Africa sono in prevalenza “reclutati” da mafie africane (in particolare nigeriane) e poi trattati dalle varie mafie locali dei diversi paesi in cui transitano. Come in prevalenza avviene coi migranti, sono portati a credito, poi costretti a produrre profitto (con ogni mezzo, a partire dalla prostituzione) per pagare i trafficanti stessi. Il profitto di questo commercio è paragonabile a quello del mercato delle droghe[10] che, essendosi ingigantito, comporta anche una forte concorrenza; inoltre i siti di maggiore produzione delle droghe sono relativamente lontani dall’Europa (Colombia, Messico, Afghanistan, Birmania, ecc.) e quindi comportano molti passaggi intermedi ognuno dei quali riduce il profitto dei singoli agenti.

Insomma: a prescindere dal fatto che le persone che operano con le ONG per salvare i migranti siano tutte benintenzionate, il traffico in quanto tale è il risultato di un sistema totalmente corrotto.

 

Corruzione come “libero mercato”

Infine c’è la vera e propria corruzione finanziaria: grandi banche che possono operare sui mercati finanziari, i grandi conglomerati di gestione fondi e singoli privati possono mobilitare miliardi di dollari per operazioni speculative su qualsiasi mercato possibile nel mondo: dalle materie prime alle azioni, dai derivati (l’equivalente di scommesse sull’andamento futuro delle valutazioni mobiliari) agli immobili, in tal modo accumulando capitali ingentissimi. Noto è il caso  Black Rock, considerato il maggiore fondo speculativo che opera nel mondo, con sede a New York e una dotazione superiore ai 6.000 miliardi di dollari. Per paragone si pensi che il prodotto interno lordo della Croazia ammonta a poco più di 50 miliardi di dollari, quello dell’Austria è di poco meno di 390 miliardi di dollari, quello della Spagna è di 1.200 ovvero un quinto del patrimonio di Black Rock, quello dell’Italia non arriva a 2.000 miliardi di dollari.

Siccome speculare è un’azione che praticamente nulla ha a che vedere con l’economia reale, se non nella misura in cui quando avvengono crolli finanziari, gli stati sono chiamati a rimpinguare le banche e le istituzioni finanziarie in perdita perché, com’è noto, senza le banche che prestano denaro a imprenditori di ogni sorta l’economia non “gira”, e se non gira tutti soffrono, quel che avviene è che coloro i quali speculano mobilitando somme che superano i bilanci di intere nazioni sovrane, finché riescono a estrarre profitto dalle proprie attività si lamentano dei lacci e lacciuoli che gli stati oppongono al loro agire. Poi quando soffrono perdite, chiamano gli stati a rimetterli in sesto con i soldi che questi estraggono dalle tassazioni che gravano sulle popolazioni. In ultima analisi le popolazioni tassate, in quanto residenti in stati “sovrani”, sono costrette dagli stati stessi a ripianare i debiti di coloro che operano al di sopra e al di fuori degli stati, prevalentemente in paradisi fiscali dove non sono assoggettati a imposte statali.

Questo in soldoni è il meccanismo perverso che costantemente succhia denaro nella forma di tasse ai paesi “sovrani” per trasferirli nelle tasche di chi opera e guadagna cifre strepitose fuori dai paesi “sovrani”.

La cosa ulteriormente assurda è che spesso i profitti dei grandi speculatori provengono proprio dalle operazioni compiute contro le economie degli stati “sovrani” medesimi: al riguardo si pensi alla speculazione contro la lira e contro la sterlina compiuta nel 1991[11]  da diversi grandi speculatori tra i quali il noto George Soros

Detto in altri termini: prima la finanza sovranazionale estrae profitti dalle economie nazionali, poi le bastona attraverso istituzioni finanziarie internazionali (BCE, IMF, Eurogruppo) che con la scusa di correggerne i difetti le affossano nella miseria dell’austerità, in questo confortate dai paesi virtuosi che approfittano della situazione per dividersi con i grandi speculatori sovranazionali le spoglie delle economie al cui dissesto hanno più o meno attivamente contribuito. Il tutto nel nome del “libero mercato”.

Chi è “sovrano”?

Tornado all’esempio di Balck Rock: chi può pensare che uno stato dal piccolo bilancio quale quello italiano possa resistere alle ondate speculative smosse da un tale gigante della finanzia mondiale?

E chi è mai in grado di sanzionare tale gigante nel caso venisse pizzicato a compiere operazioni corruttive, o comunque avverse agli interessi di un paese? Nessuno. Nessun paese “sovrano” ha la forza di colpirlo, vuoi per carenza di peso economico, vuoi per carenza di leggi che regolino i mercati internazionali sui quali immancabilmente operano gruppi di tale peso: che non sono “residenti” in un singolo paese, a meno che tale residenza non comporti per loro vantaggi fiscali e totale libertà di movimento. Ecco dunque che la condizione di sovranità di un singolo paese viene a cessare per tutti coloro che agiscono, come una “Spectre” dei film di James Bond, in una condizione  che si pone come esterna a qualunque sistema giuridico.

Una gerarchia di corruzione

Per riassumere dunque: abbiamo la corruzione dei ladri di polli a livello di piccolo cabotaggio nazionale; i corrotti a livello nazionale che vengono mobilitati dalle forze di natura sovranazionale per far sì che il loro paese si pieghi alla logica del “libero mercato” che consiste nel permettere ai grandi speculatori di operare in modo impune nel mondo; gli stessi stati vengono compressi e taglieggiati e a loro volta taglieggiano la popolazione che dovrebbero difendere, poiché tali stati hanno lo scopo giuridicamente stabilito di difendere i diritti di libertà di azione delle istituzioni finanziarie da cui sono taglieggiati e devono piegarsi ai diktat che nel nome del libero mercato sono imposti dai gruppi privati o dai paesi più forti che hanno in mano gli apparati burocratici che amministrano istituzioni internazionali come per esempio la BCE o il FMI, le quali istituzioni a loro volta operano esclusivamente non in difesa degli interessi degli stati e delle popolazioni, ma della astratta logica sottostante al libero mercato: la giungla darwiniana in cui chiunque è chiamato a perseguire il proprio massimo vantaggio nel tempo più rapido possibile nell’assurda supposizione che questo alla fine favorisca tutti. È la logica del “quel che è giusto per Ford è giusto per gli Stati Uniti”: ma almeno Ford produceva automobili, mentre la speculazione finanziaria non produce che profitti monetari facendo defluire liquidità nelle tasche di pochi che magari potrebbero investire in attività produttive che facciano lavorare centinaia,  migliaia, milioni di persone in tal modo diffondendo ricchezza. Ma poiché di solito queste attività richiedono parecchio tempo per essere messe in moto, preferiscono semplicemente operare sui mercati più astratti delle monete, dei titoli di stato, dei titoli mobiliari, dei derivati; corrono rischi maggiori ma sono attratti dalla prospettiva di facili e rapidi guadagni[12]. Operando solo sul piano finanziario si contano numeri e non si sentono i pianti di chi è ridotto in schiavitù o gettato nella miseria. Ma comunque la conseguenza della propria opera è diffusione delle schiavitù e diffusione della miseria.

Tutto questo è corruzione molto più dannosa di quella dei ladri di polli nazionali. Ma nessuno la può perseguire. Perché questi crimini sono compiuti in un universo astratto e lontano da quello in cui operano gli stati nazionali. Un universo nel quale neppure la Comunità europea potrebbe incidere, neppure se ne avesse il desiderio (che comunque non ha: per i motivi sopra detti essendo piuttosto parte dei persecutori che dei perseguiti). Non solo, la Comunità europea, essendo composta da paesi che non hanno mai veramente appianato le loro tensioni interne (si ricordi, per fare solo un esempio, come la Francia promosse la destabilizzazione della Libia nel 2011 in funzione anti italiana) molto difficilmente riuscirà a mettere assieme la forza e la coerenza necessaria per ribellarsi a questo stato di cose.

Legge globale contro corruzione globale

Occorrerebbe dunque una legge di carattere globale, come sono globali le forze che operano nel senso della distruzione delle economie nazionali. Piaccia o non piaccia, non vi sono altre soluzioni possibili.

Vi sono solo tre entità che al momento attuale paiono interessate a contrastare questi fenomeni degenerativi. E questi sono le Chiese (per motivi di principio morale, e in particolare la Chiesa Cattolica che col papato e col Vaticano ha una particolare coerenza e una notevole influenza nel mondo, pur con tutte le magagne interne ccon cui si trova a dover fare i conti), la Cina (il primo paese che in questi anni ha lanciato una campagna anti corruzione interna e che, poiché sta sviluppando la propria economia reale, è interessata a difenderla dalle depredazioni), e le Nazioni Unite per il semplice fatto che è questo l’unico foro internazionale che potrebbe mettere assieme le alleanze necessarie tra stati sovrani motivati da interessi comuni a regolamentare il cosiddetto “libero mercato” globale, che di libero ha solo il nome.

Il ruolo del papato

Il Vaticano con papa Francesco in particolare si è mosso lanciando proclami e anche per la prima volta concrete indicazioni in varie encicliche (a partire dalla “Laudato si’”): la sua è un’opera di convincimento e di formazione morale e culturale oltre che religiosa: un punto fermo cui non a caso il mondo tende sempre più a guardare, per quanto poi le linee politiche siano ovunque dettate dai compromessi che si realizzano tra le forze politiche ed economiche locali.

Il ruolo della Cina

La Cina con Xi Jinping dal 2012 ha lanciato una campagna interna contro la corruzione: è l’unico paese al mondo ad averlo fatto. Certo si può ritenere che tale campagna sia usata anche strumentalmente per contrastare avversari politici del regime: ma sinora non si sono viste prove concrete che questo sia avvenuto, mentre si sa che centinaia di funzionari proni a intascare denari per motivi privati e contrari all’interesse pubblico e imprenditori che con la loro attività inquinano l’ambiente sono stati arrestati o comunque emarginati[13]. E l’economia continua a crescere. Non solo, la Cina ha lanciato diverse iniziative di carattere internazionale volte a promuovere l’economia reale, non quella finanziaria: tale è l’iniziativa One Belt One Road, e tale è la Banca per lo sviluppo infrastrutturale asiatico alla quale partecipano decine di altri paesi, anche non asiatici.

Insomma oggi la Cina è il singolo paese che si sta muovendo in una direzione diversa da quella dell’ideologia del “libero mercato”, sia all’interno, sia nei rapporti con l’estero.

Nel compiere queste opere, la Cina sembra potenzialmente seguire un impulso di carattere culturale che le deriva da una tradizione ben più antica di quella comunista che oggi nominalmente la domina: l’insieme delle tradizioni taoista, confuciana e buddista che costituiscono il suo patrimonio culturale profondo[14]. Tale patrimonio è, in ogni paese, costituito dal retaggio religioso, anche laddove, come in Cina, è stata compiuta una scelta di governo materialista. Perché tale sostrato resta nelle famiglie e negli individui e compone il loro  carattere e il loro modo di interpretare gli eventi.  E in Cina per tradizione l’importanza della famiglia è molto forte.

La tradizione religiosa e culturale cinese (taoista, confuciana, buddista) pone il bene pubblico prima di tutto, e la pace come un fine che la nazione e i singoli sono chiamati a perseguire: aspetti questi che l’avvicinano alla tradizione cristiana che caratterizza l’Occidente.

Dunque la Cina attuale, per quanto lanciata a tamburo battente nel campo della produzione e della tecnologia e attualmente impegnata a trasferire la propria economia sul terreno del consumo (sia per permettere più elevati livelli di vita alle vaste zone tutt’ora povere, sia per sviluppare un più florido mercato interno per rispondere alla guerra commerciale lanciata da Trump nel 2018), è un potenziale alleato delle religioni, e in particolare della Chiesa Cattolica, nel moderare i rischi di conflitto sul piano internazionale. Non  caso papa Francesco ha segnalato di auspicare un dialogo con la Cina e sembra che vi siano segnali di risposta positiva[15].

Il problema ovviamente è che la Cina continentale attuale è anche legata ai pregiudizi di origine materialistica: un fatto che forse potrebbe essere superato se riuscisse a privilegiare le proprie origini culturali antiche.

Il ruolo dell’ONU

L’ONU non è un governo, ma un’associazione di stati sovrani, in realtà dominata dai cinque membri permanenti del cosiddetto Consiglio di sicurezza, ovvero dai vincitori della seconda guerra mondiale: Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia. Se alcuni di questi insieme con altri paesi riuscissero a formulare un sistema di regole per imbrigliare la corruzione in senso lato, l’ONU potrebbe divenire uno strumento atto a contenere le distorsioni che sono derivate al sistema del libero mercato in particolare in questi ultimi anni.

Il problema è che gli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale sono sempre più assoggettati ai poteri forti della finanza e del complesso militare industriale, contro la cui invadenza invano avvertì il presidente Dwight Eisenhower nel 1961[16] , che dal tempo del Vietnam vi ha impresso la tendenza a muovere guerre non per vincerle ma per destabilizzare diverse regioni del mondo e per ovviamente generare mercati per le armi di cui è il maggiore produttore al mondo. Di fronte all’emergere della Cina, gli USA con l’Amministrazione Trump sembrano tendere a rispondere secondo la logica della geopolitica: tentano da un lato la via della guerra commerciale e dall’altro tendono a muoversi secondo la logica strategica implicita nella dottrina dello “Arco della crisi” elaborata da Zbigniew Brzezinsky nella seconda metà degli anni ’70. Tale dottrina contemplava una zona di instabilità che dall’oceano Indiano arriva al Corno d’Africa, dove allora la destabilizzazione mirava a creare difficoltà all’Unione Sovietica (e il suo coronamento è stata l’invasione sovietica in Afghanistan a fine 1979, i cui effetti hanno notevolmente contribuito al crollo del regime comunista).

Oggi la dottrina/strategia dello Arco della Crisi, recuperata in funzione anti cinese, mira a destabilizzare tutta la regione dove la Cina estende la sua influenza con One Belt One Road. Ecco dunque che l’Arco della Crisi tenderà a estendersi dalla Somalia al mar della Cina meridionale: sono zone dove attualmente la Cina sta ponendo propri presidi navali (dal Ciad alle isole artificiali nel Mar cinese meridionale).

Ovviamente poi un punto di rilevanza strategica è l’isola di Taiwan, che la Cina ritiene territorio proprio (in questo sostenuta anche dal Kuomintang in Taiwan che tuttavia oggi è divenuto partito di opposizione rispetto al Partito democratico progressista attualmente al potere, che ambisce al riconoscimento di Taiwan come stato indipendente).

Mentre in Asia l’incipiente destabilizzazione e scontro con l’Iran mira ad arrestare l’iniziativa infrastrutturale cinese che ha gettato “ponti” rilevanti di dialogo con il Pakistan e con il suo avversario storico, l’India.

In questo contesto geopolitico il ruolo della Russia sarà sempre più centrale: la Russia infatti può essere, come i cinesi auspicano, un sostegno di carattere strategico per la Cina (la Russia essendo l’unico paese dotato di armamenti comparabili con quelli statunitensi); oppure può cercare di recuperare il terreno perso in Europa a seguito dell’annessione della Crimea sacrificando, come chiedono gli Stati Uniti, il suo appoggio alla Cina. La Russia potrebbe essere tentata ad unirsi alla strategia dello Arco di Crisi per il contenimento della Cina per due motivi. Il primo è che con quest’ultima condivide la lunghissima frontiera siberiana in cui si sente debole, poiché la Siberia è spopolata, mentre il suo vicino meridionale è popolosissimo. Il secondo è che la Cina sta giungendo ad avere influenza, proprio grazie ai commerci via terra, su zone dell’Europa dell’Est un tempo appartenenti al dominio russo.

Queste considerazioni non saranno estranee agli atteggiamenti e agli allineamenti che potrebbero assumere i paesi del Consiglio di Sicurezza ONU se in tale ambito si arrivasse a promuovere provvedimenti atti a contenere i livelli di corruzione diffusi nel tessuto economico nel mondo.

Regole esistenti e future

I Dieci Principi del Global Compact (del 2000) delle Nazioni Unite e la Convenzione contro la corruzione (del 2003)[17] già includono provvedimenti che mirano a imbrigliare i sistemi corruttivi, ma la corruzione è definita in modo piuttosto ristretto, limitandosi a concetti che in Italia sono intesi come l’uso di tangenti e bustarelle per promuovere interessi propri a discapito degli interessi pubblici. Per cui i provvedimenti attualmente approvati in sede ONU richiamano gli stati membri a promuovere la trasparenza, a evitare l’uso improprio di notizie (insider trading), a regolamentare l’attività di lobbying, ecc. Il tutto è inteso come una serie di linee guida rivolte ai governi e, notava Kofi Annan, segretario generale ONU al momento della pubblicazione di questo documento (nel 2004) si tratta di un primo passo.

Dopo quanto accaduto nel corso di questi due primi decenni del nuovo secolo (estensione delle guerre regionali in Asia e Africa, le nuove tensioni sopra descritte originanti da motivi di dominio economico tra USA e Cina, dopo la perdurante crisi finanziario-economica emersa nel 2007-2008 e le distorsioni avvenute in Europa a seguito dei vizi insiti nel sistema euro) è forse tempo di rivedere ed estendere la Convenzione contro la corruzione ampliandone la definizione e di considerare di compiere l’ulteriore passo della costituzione di un Foro internazionale atto a giudicare i delitti di corruzione al di fuori delle logiche nazionali.

Il principio ONU anti corruzione dovrebbe essere allargato a includere le pratiche finanziarie la cui attuazione mette in pericolo la stabilità del sistema globale e che portano al trasferimento di ricchezza dai pagatori delle imposte nei diversi paesi sovrani ai privati (come i grandi fondi finanziari) operanti sul piano globale e al di fuori dei sistemi di leggi.

Come già indicato, solo una legge di carattere sovranazionale può porre limiti a poteri che operano sul piano internazionale.

Nuove regole globali

In pratica l’ONU dovrebbe elaborare, e trovare il modo di far rispettare, un sistema di regole che agiscano sullo stesso piano sul quale oggi agiscono indiscriminatamente i flussi finanziari che esulano dal controllo sovrano dei singoli paesi.

Il problema ovviamente è che parti cospicue delle élite dominanti nei vari paesi dispongono di enormi fondi propri, e il caso dei Panama Papers[18] ne è stata una chiara dimostrazione; e quei fondi nei mercati non regolamentati incidono negativamente su tutte le economie reali. E i fondi di origine statunitense sono al primo posto in questo universo della speculazione finanziaria globale.

Dunque, per giungere a ottenere lo stabilirsi di regole a livello ONU per imbrigliare la giungla dei mercati sregolati che opprimono i paesi del mondo (favorendo ogni sorta di degenerazione, dalle nuove forme di schiavitù, al commercio di droghe, all’estrazione di tasse a vantaggio di organismi finanziari che operano in modo predatorio) occorre ottenere il consenso di paesi che attualmente sul piano geostrategico si trovano divisi tra i due poli del conflitto fondamentale dei nostri anni (Stati Uniti da un lato, Cina dall’altro lato) e di paesi i cui governanti sono favoriti (corrotti) dall’esistenza dei mercati finanziari internazionali.

Il principio cardine

A livello di principio, da notare è che il fondamento del pensiero liberale, cioè che la libertà propria termina là dove comincia quella dell’altro, potrebbe fungere da motivo guida negli accordi che possono essere raggiunti, pur nel rispetto di quel che si intende come libero mercato: che la libertà di azione di qualsiasi gruppo sociale, nazione, stato, istituto finanziario, sia garantita e protetta ma solo fin là dove essa non giunge a ledere i livelli di sicurezza e la qualità del vivere di altri gruppi sociali, nazioni, stati, istituti finanziari.

Tendenzialmente il nuovo dispositivo dovrebbe permettere che un’apposita corte costituita in seno all’organizzazione della Nazioni Unite abbia la possibilità di vagliare ed eventualmente sanzionare tutti i comportamenti di persone, associazioni, organizzazioni, istituzioni pubbliche e private, stati, le cui conseguenze dirette si traducono in un danno o una limitazione alla libertà, o alla salute, o al benessere fisico e morale di persone, gruppi, associazioni, istituzioni pubbliche o private, stati la cui esistenza e la cui opera non costituiscono una minaccia per la convivenza civile a livello nazionale o internazionale.

In questo modo verrebbe salvata la possibilità di intervenire tramite apparati militari contro chi minacciasse la pace nel mondo mentre si potrebbe agire contro chi danneggia l’economia, le condizioni ambientali, le attività produttive di singoli paesi o gruppi di paesi tramite attività fondate sulla corruzione e sull’uso di fondi per generare ricchezza puramente nominale (monetaria) senza compiere investimenti nell’economia reale (ovvero quella collegata alla produzione di beni e servizi legittimi).

Ovviamente se tale principio potesse essere stabilito e fatto valere, un fenomeno come quello verificatosi in questi anni recenti e tutt’ora in fase di crescita, ovvero che l’uno per cento della popolazione mondiale controlli un potere economico superiore al 50 percento della ricchezza totale e continui a incrementarla pur mentre intere popolazioni sono ridotte in miseria, non sarebbe accettabile.

Possono la Russia, la Cina, la Francia e la Gran Bretagna stimolare la ricerca di un tale accordo?

Motivi di carattere geostrategico o geopolitico non spingono in questa direzione, anzi tendono ad allontanare da questa prospettiva. Anche l’interesse privato di molti esponenti di spicco di tali paesi  spingono in senso avverso alla ricerca di un consenso su regole globali anti corruzione.

La forza cui principalmente si può fare appello per promuovere un sistema di regole globali è quella della coscienza dei leader delle nazioni. Parlare di tale coscienza appare ovviamente utopico: ma in realtà dagli accordi di Kyoto sul clima[19] s’è visto invece che è possibile trovare ragioni di accordo globale, a fronte di minacce globali: e la crisi finanziaria e il grado di corruzione morale ed economico che vi sta alla base è una crisi globale tanto quanto la crisi del clima dovuta all’effetto serra.

Ovviamente un problema è che, con Trump al potere, proprio gli Stati Uniti, il paese che ha portato il concetto moderno di democrazia e di diritti condivisi, si sono dichiarati aversi agli accordi di Parigi che portavano a maturazione quelle precedentemente raggiunti a Kyoto. Non solo, con personaggi intimamente legati al fenomeno Trump, quale Steve Bannon, dagli USA stanno emergendo tentativi di costituire un’alleanza globale volta a sfruttare il fenomeno populista  per renderlo strumento volto a ristabilire il primato americano contro la minaccia a questo portato dall’emergere di un mondo multipolare.

Spetterà al resto del mondo questa volta salvare gli Stati Uniti dall’errore che stanno commettendo.

Cina, Russia e gli altri paesi dal forte peso economico dovranno recuperare la cognizione che l’economia ha il fine di permettere degni livelli di vita alle persone, non di essere usata come un’arma allo scopo di esercitare un dominio. È questo quel che richiedono gli elettori che hanno espresso voti “anti sistema”. Deluderli potrebbe portare ad aprire il vaso di Pandora di una nuova catena di scontri.

 

Note

[1]   Rapporto Oxfam del 22 gennaio 2018 dal titolo “Reward work, not wealth” (“Richest 1 percent bagged 82 percent of wealth created last year – poorest half of humanity got nothing”).

[2]   Un parziale sunto dello scandalo Siemens è riferito dal Guardian, 18 settembre 2013: https://www.theguardian.com/sustainable-business/siemens-solmssen-bribery-corruption

[3]   Lo spionaggio di NSA e di altre agenzie a questa collegate, sia americane, sia britanniche, avveniva da anni ed è stato ampiamente riferito dalla stampa occidentale, A mo’ d’esempio citiamo il Guardian, 25 ottobre, 2013: https://www.theguardian.com/world/2013/oct/24/nsa-surveillance-world-leaders-calls

[4]  Scrive il giornale tedesco: Mit seinem Leben in Russland habe er sich arrangiert, mit dem

     System Putins allerdings nicht. “Die russische Regierung ist in vielerlei Hinsicht korrupt”, sagte

     Snowden, “das wissen die Russen. Die Regierung ist das Problem, nicht das russische Volk.” Cfr

     https://www.sueddeutsche.de/politik/edward-snowden-im-interview-merkels-haltung-ist-eine

     enttaeuschung-1.4034633

[5]  K. Dyson and K. Featherstone: “An EMU initiative was justified by the demonstatable need to bind German monetary power into a stronger European franmework that could negotiate on term of equality with the USA…. (Pompidou) saw EMU as pre-eminently a political project: a means to ‘deepen’ the EC whilst simultaneouslu ‘widening’ it to embrace southern Europe and Britain. In this way Europe could be ‘rebalanced’… to serve French interests and contain Germany”.  The Road to Maastricht, Oxford University Press, 1999, page 106.

[6]  Yanis Varoufakis, che fu ministro delle Finanze in Grecia nei primi mesi del 2015, spiega molto bene la situazione nel volume “Audults inthe Room. My battle with Europe’s deep establishment”, Vintage, London, 2017.

[7]  “El clan Pujol llegó a mover, en sus momentos de máximo «esplendor económico»… una cifra global de 3.000 millones de euros, según fuentes que han seguido esta investigación a lo largo de los últimos años, consultadas por LA RAZÓN. Hubo momentos en que hasta el 40 por 100 de ese dinero estaba disponible en «cash»”, La Razon, 9 maggio 2017.

[8]  wikipedia.org/wiki/Movimento_per_l%27Indipendenza_della_Sicilia (consultato h 11,08 il 4 agosto 2018): il Movimento Indipendentista Siciliano (MIS) nacque nel 1942 e “Nel settembre del 1945 numerosi mafiosi, fra cui Calogero Vizzini, Giuseppe Genco Russo, Michele Navarra, Francesco Paolo Bontate, Gaetano Filippone, il quattordicenne Pippo Calò e il diciassettenne Tommaso Buscetta, confluirono nel MIS nel corso di una riunione a casa del barone latifondista Lucio Tasca e decisero di utilizzare i gruppi di banditi che battono la campagna per rinsanguare il loro braccio armato, l’EVIS”.

[9]  “Fear of immigration drove the leave victory – not immigration itself”, The Guardian, 24 June 2016.

[10]  Cfr “Mercanti di uomini. Il traffico di ostaggi e migranti che finanzia il jihadismo” di Loretta Napoleoni (Milano, 2017).

[11]  Salvatore Rossi: “For the economic and financial system the most dramatic “break” was the foreignexchange crisis and the financial quasi-crisis of September 1992; politically, it was the end of the First Republic in the spring of 1993”, “The Italian Economy – Models, Measurements and Structural Problems Aspects of Italian Economic Policy from the 1992-93 Crisis to the Crisis of 2008-09” (5 marzo 2010).

[12]  Philipp Mundt, Niels Förster, Simone Alfarano, Mishael Milaković “The Real Versus the Financial Economy: A Global Tale of Stability Versus Volatility” (Discussion Paper No. 2013-8 | January 28, 2013, economics-ejournal.org/economics/journalarticles/2014-17).

[13]  Gueorguiev and Stromseth, “New Chinese agency could undercut other anti-corruption efforts. Open government information would yield long-term benefits in war on graft”, Nikkei Asian Review, 06 March  2018.

[14]  Mariola Moncada Durruti, “El despertar del Neoconfucianismo en China. Impacto en el discurso político del Partido Comunista Chino” in Memoria y civilización 14, 2011.

[15]  “La Cina coglie la possibilità di risolvere il problema con la Chiesa Cattolica grazie a un papato straordinario”: questo il titolo di un articolo apparso sul giornale cinese Global Times, a firma di Zhang Yu, il primo di agosto 2018 (“China grasps rare chance to solve its Catholic problem during a unique papacy”). Il testo spiega come stiano circolando due film che si riferiscono ai rapporti storici tra Chiesa e Cina, al ruolo positivo svolto da sacerdoti cattolici in opere umanitarie e culturali in Cina, e alla figura di papa Francesco, la cui esperienza con i teologi della liberazione in America Latina è considerata importante per dialogare con la Cina comunista.

[16]  “The potential for the disastrous rise of misplaced power exists, and will persist. We must never let the weight of this combination endanger our liberties or democratic processes” disse Eisenhower nel suo discorso di chiusura del suo mandato presidenziale, il 17 gennaio 1961, quando denunciò il rischio crescente che il paese venisse assoggettato alla logica della produzione e dell’uso di armi.

[17]  United Nations Office on Drugs and Crime, Vienna, United Nations Convention Against Corruption” (2004).

[18]  “Mossack Fonseca: inside the firm that helps the super-rich hide their money”, The Guardian, 6 aprile 2016, in cui si spiega come i “super ricchi” (molti dei quali italiani) evadono i controlli fiscali  (sentendosi “ingiustamente perseguitati” dagli stati) e per questo usano i paradisi fiscali. Tra questi il Panama emerge come uno snodo rilevante, per esempio per europei che da lì possono riportare con falsi nomi i loro capitali in altri mercati di facile acceso, quali il Lussemburgo che, essendo in  Europa, consente loro di esercitare potere economico nel continente.

[19]  Com’è noto il protocollo di Kyoto, entrato in vigore nel 2005 e riconosciuto da 192 paesi, recepisce e rielabora la United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC) e si fonda sul principio di responsabilità condivise ma in modo differenziato tra i paesi del mondo. Si tratta dell’inizio di un percorso a tappe che mira a ridurre la produzione dei “gas serra” (ovvero degli effetti dei sistemi di combustione tradizionali). Non vi partecipano solo gli Stati Uniti, il Canada, il Sud Sudan e Andorra.

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